La leader di Hong Kong, Carrie Lam, ha deciso di sospendere gli emendamenti alla legge sull'estradizione, dopo giorni di forti proteste che hanno portato centinaia di migliaia di persone a manifestare per le strade e causato i più violenti scontri degli ultimi decenni nella città semi-autonoma cinese. Una vittoria per i manifestanti, che hanno comunque confermato la protesta di domani e il loro obiettivo finale: il ritiro degli emendamenti.
La questione "non è piu' urgente" per Hong Kong, ha detto Lam in conferenza stampa, spiegando che Taiwan ha dichiarato che non intende chiedere l'estradizione per il giovane Chan Tong-Kai, accusato di avere ucciso la fidanzata incinta lo scorso anno a Taipei, prima di tornare a Hong Kong. La proposta di riformare la legge era nata da quel caso, ma gli emendamenti avrebbero previsto la possibilità di consegnare i ricercati anche ad altri Paesi con cui Hong Kong non ha in vigore un trattato, come la Cina, destando forti dubbi sullo stato di diritto nella Regione Amministrativa Speciale cinese.
"Dopo avere studiato la questione negli ultimi due giorni", ha aggiunto Lam, "annuncio che congeleremo gli emendamenti". La sospensione non è, però, un ritiro della proposta di riformare la legge sull'estradizione, perché ci sono "scappatoie" legali che devono essere tappate, ha proseguito la leader di Hong Kong.
Lam ha incontrato il numero sette di Pechino?
Lam si è detta rammaricata per le proteste sfociate in scontri con la polizia il 12 giugno scorso, quando era in programma il dibattito sulla legge, all'Assemblea Legislativa, il Parlamento di Hong Kong. "Abbiamo rattristato e deluso molte persone. Anch'io ero rattristata e ho provato rammarico. Accetteremo umilmente e sinceramente le critiche e miglioreremo", ha promesso Lam.
Una ripresa dei lavori sulla legge non è, però, prevista prima della fine dell'anno, ha aggiunto. Molte le domande sul ruolo di Pechino, dietro all'insistenza con cui la sua amministrazione ha spinto per l'approvazione degli emendamenti.
Nessuna conferma è arrivata dalla capo esecutivo alle voci insistenti di un suo incontro con un altissimo funzionario del Partito Comunista Cinese, Han Zheng, numero sette nella gerarchia politica cinese, per trovare una soluzione e riportare la calma a Hong Kong. Da Pechino, ha detto Lam, sono arrivati "comprensione, fiducia, rispetto e sostegno" per la scelta di non andare oltre con la legge, giudizi confermati poco dopo anche dal governo cinese, che ha ribadito la fiducia in lei.
Allo stesso tempo, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, "vorrei sottolineare che Hong Kong è una Regione amministrativa speciale della Cina e gli affari di Hong Kong sono affari interni della Cina".
Gli interrogativi che restano
Dopo quasi ottanta minuti di incontro con i giornalisti rimangono, però, ancora molti interrogativi sullo stallo politico che la città torna ad affrontare a quasi cinque anni dalle manifestazioni pro-democratiche di Occupy Central: Lam non ha chiesto scusa per i disordini, nonostante sette sollecitazioni su questo punto, e ha glissato anche sulle domande riguardanti le sue dimissioni, criticando i manifestanti per le "sommosse" di mercoledì scorso.
Le sue parole hanno lasciato scontenti proprio i protagonisti delle proteste, che avevano già annunciato una marcia per domani, e che continuano a chiedere il ritiro della legge e le dimissioni della capo esecutivo. "Se lei resta, noi restiamo", ha commentato seccamente una rappresentante dei pan-democratici, minoranza al parlamento di Hong Kong, dominato dai gruppi pro-Pechino, citata dal South China Morning Post.
"I nostri piani rimangono gli stessi", le ha fatto eco il Fronte per i Diritti Umani e Civili, una delle sigle più battagliere delle proteste di questi giorni, che ha indetto la marcia di domani e che chiede anche il rilascio dei manifestanti arrestati mercoledì scorso.