Dopo il dodicesimo fine settimana di proteste anti-governative, la leader di Hong Kong, Carrie Lam, ha escluso di dimettersi e ha promesso tolleranza zero contro le violenze nella Regione amministrativa speciale cinese che da oltre due mesi e mezzo stanno provocando una crescente irritazione a Pechino.
"Avviare un dialogo non significa che tolleriamo la violenza", ha sottolineato Lam, ribadendo la proposta di una piattaforma di dialogo con i manifestanti, ma senza accettarne le richieste. "Non è una questione di non rispondere, è una questione di non accettare queste richieste", ha precisato. Tuttavia ha ricordato che il principale obiettivo delle proteste iniziate a giugno, ovvero la proposta di riforma della legge sull'estradizione, "è stata fermata due mesi fa": una mossa insufficiente per i manifestanti, che ne chiedono il ritiro completo, e le dimissioni della stessa Lam.
Si va verso lo stato d'emergenza?
Le parole del capo dell'amministrazione non hanno convinto le opposizioni, soprattutto in riferimento al possibile ricorso a una legge di emergenza per riportare la calma: glissando una domanda a riguardo, Lam si è limitata a dire che Hong Kong ha comunque i mezzi legali a disposizione "per mettere fine alla violenza e al caos". L'amministrazione, suggerisce un quotidiano pro-Pechino, il Sing Tao Daily, sta pensando di fare ricorso alla Emergency Regulations Ordinance, che darebbe alla leader di Hong Kong "in caso di emergenza o di pericolo pubblico" il potere di mettere in atto "qualsiasi regolamentazione che fosse ritenuta utile all'interesse pubblico".
Sarebbe "una legge marziale senza l'Elp", l'Esercito di Liberazione Popolare cinese, ha commentato su Twitter l'attivista pro-democratico Joshua Wong, volto delle proteste pro-democratiche del 2014, eguagliate e destinate a essere superate, per durata e intensità, dal movimento anti-governativo iniziato a giugno scorso. In serata il governo di Hong Kong ha voluto rafforzare il messaggio di Carrie Lam: "Ulteriore violenza non sarà tollerata", ha scritto il suo ufficio in una nota. Intanto, l'eco delle tensioni di Hong Kong è tornata a infastidire anche il governo cinese.
Il nervosismo di Pechino
Il nervosismo di Pechino rispetto alle proteste è apparso evidente dalla "forte insoddisfazione" e dalla "risoluta opposizione" con cui il ministero degli Esteri ha accolto il comunicato congiunto del G7 di Biarritz, in Francia, che ha riaffermato "l'esistenza e l'importanza dell'accordo sino-britannico del 1984" e ha chiesto di evitare ogni forma di violenza nell'ex colonia di Londra. I leader delle sette economie industrializzate, ha detto il portavoce Geng Shuang, sono invitati a "smettere di fare commenti irriguardosi e di lanciare accuse" sulla questione di Hong Kong.
Ad aggiungere tensione è l'avvicinarsi del settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, il 1 ottobre prossimo, quando a Pechino è prevista una parata militare davanti al presidente Xi Jinping. Proprio in vista della data cerchiata in rosso sul calendario politico cinese, il ministro della Pubblica Sicurezza di Pechino, Zhao Kezhi, si è recato ieri nel Guangdong, la provincia sud-orientale cinese che confina con Hong Kong, per una visita di ispezione e, secondo quanto riporta il comunicato ufficiale del viaggio, per discutere i modi per contrastare "gravi attacchi, vari tipi di infiltrazioni sovversive e attività terroristiche violente".