Il centro di Hong Kong è di nuovo precipitato nel caos: da una parte, lanci di bottiglie molotov, "assalti" al Parlamento e barricate in fiamme, dall'altra lacrimogeni, unità speciali della polizia in azione e bombe d'acqua colorate di blu per "identificare" i rivoltosi. Scontri aspri, quelli tra la polizia e i manifestanti, i quali hanno sfidato il divieto posto dalle autorità di scendere in strada per il tredicesimo weekend consecutivo per protestare contro la minacciata stretta di Pechino sull'ex colonia britannica.
La polizia ha giustificato la decisione di non autorizzare le manifestazioni con gli scontri di domenica scorsa, uno degli episodi più gravi dall'inizio dei cortei lo scorso giugno. Ma decine di migliaia di manifestanti, in maglietta nera e brandendo gli oramai caratteristici ombrelli, hanno deciso comunque di sfilare nel pomeriggio attraverso diversi quartieri del centro, con slogan "Salvare Hong Kong, la rivoluzione dei nostri tempi".
Un colorante blu per identificare i rivoltosi
La tensione è cresciuta in serata, quando un piccolo gruppo dell'ala piu' "dura" del movimento ha attaccato con bombe molotov e lanci di pietre gli agenti di polizia schierati intorno al Parlamento. Gli attivisti sono riusciti ad abbattere per breve tempo le barriere che proteggono l'edificio, prima di essere respinti dalla polizia con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua: per questi, gli agenti hanno fatto uso soprattutto di un colorante blu, scelto perché consente di identificare i "sospetti" in un secondo momento.
Dopo il confronto davanti al Parlamento, gli attivisti si sono spostati verso est, arrivando ad appiccare le fiamme ad un'enorme barricata costituita da sedili strappati dagli spalti di un campo sportivo, vicino al quartier generale della polizia, nel quartiere di Wanchai. "I manifestanti radicali hanno lanciato bombe incendiarie contro gli agenti, riferisce la polizia in una dichiarazione, aggiungendo che essi rappresentano "una grave minaccia" per il resto della gente intorno.
Prima un gruppo ha sfilato vicino alla residenza del capo del governo locale, Carrie Lam, nei pressi del Victoria Park: la leader dell'esecutivo di Hong Kong vede convergere su di se' la rabbia della protesta per non aver formalmente ritirato il disegno di legge sulle estradizioni verso la Cina, provvedimento che aveva fatto da detonatore alla mobilitazione a inizio giugno.
Un altro gruppo si è incontrato nel quartiere dello shopping, Causeway Bay, affollatissimo come ogni sabato. I motivi della mobilitazione sono aumentate nel tempo, estendendosi alla denuncia di quella che è la crescente influenza della Cina sull'ex colonia inglese, con annessa la perdita della libertà. "È ora o mai piu'", spiega un contabile che dice di chiamarsi Wong. "Ho due figli che non sono venuti, ma la loro nonna è qui. Difendiamo il diritto di manifestazione non solo per noi, ma anche per la prossima generazione". T
ra i manifestanti anche qualche centinaio di cristiani, che hanno iniziato una "preghiera per i peccatori" davanti ad una stazione di polizia. Qui un uomo travestito da Mosé mostrava una "tavola dei 5 Comandamenti", contenente le richieste del movimento pro-democrazia: no all'estradizione di cittadini di Hong Kong verso la Cina, no alla persecuzione penale di attivisti, no ad elezioni "manipolate da Pechino", no alla "marchiatura" dei leader della protesta.
Arresti anche tra i parlamentari
Questo sabato segna il quinto anniversario del rifiuto di Pechino di organizzare le elezioni a suffragio universale a Hong Kong. Una decisione che innescò la "rivoluzione degli ombrelli" del 2014, quando il centro della città fu occupato per ben 79 giorni. Quella volta la mobilitazione si concluse senza alcuna concessione da parte del governo centrale cinese, ma a questo giro i manifestanti sono determinati a non far morire il movimento.
A spingere molti a tornare in piazza nonostante i divieti anche i numerosi arresti degli ultimi due giorni: non solo attivisti, ma anche diversi membri del Parlamento di Hong Kong. I fermi che avevano fatto più scalpore degli attivisti-icona della protesta, ossia Joshua Wong e Agnes Chow, accusati di "incitamento a partecipare a una concentrazione non autorizzata" e successivamente rilasciati su cauzione.
Tra gli altri arresti, quelli del deputato nonché leader del partito Passione civica Cheng Chung-tai, 35 anni, del capo del partito indipendentista Andy Chan, del consigliere distrettuale Sha Tin Rick Hui e dell'ex presidente del sindacato studentesco Althea Suen. Da giugno sono oltre 900 le persone arrestate. "Ma noi non ci arrenderemo", si legge su un graffito nella vicina stazione della metropolitana.