La prossima vittima dello scandalo Weinstein potrebbe non essere l'ennesima attrice molestata o stuprata dal produttore cinematografico, ma il procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus Vance Jr. Se Weinstein ha una incontrollabile tendenza ad abusare delle donne, secondo Vox Vance ha quella a non molestare i ricchi e i potenti. Soprattutto se sono stati generosi finanziatori della sua campagna elettorale.
Ma prima di andare avanti, un'avvertenza: se volete sapere chi sono le new entry nella rubrica delle molestie di Weinstein andate direttamente QUI
Ma torniamo a Vance. Il suo atteggiamento 'morbido' nei confronti di quelli che contano spiegherebbe perché ci sono voluti numerosi scoop della stampa - New York Times e New Yorker su tutti - per costringere la procura ad aprire gli occhi non solo sul caso di Harvey Weinstein, ma anche sull'accus a Ivanka e Donald Trump Jr. per frode. In entrambi i casi, la documentazione portata dai giornali suggerisce che Vance e i suoi procuratori avrebbero avuto prove convincenti per procedere, ma che non l'abbiano fatto per non alienarsi amicizie potenti.
Vance e i suoi, del resto, dicono che le loro ragioni per non portare avanti le indagini fossero valide e slegate da qualsivoglia favoritismo. "Dopo aver analizzato le prove disponibili, tra cui molteplici colloqui con le parti, si è giunti alla conclusione che un'inchiesta penale non fosse fondata", ha dichiarato la procura distrettuale al New Yorker sul caso Weinstein. Per quanto riguarda il caso Ivanka e Donald Jr., Vance ha dichiarato a un team investigativo di New Yorker, ProPublica e WNYC di "non ritenere oltre ogni ragionevole dubbio che un reato fosse stato commesso".
Come inizia la scalata di Vance
Per capire come si sia arrivati a mettere sulla graticola il capo della procura distrettuale di Manhattan (una cosa che finora abbiamo visto succedere solo nella serie tv Billions) bisogna ricostruire chi è Cyrus Vance. A portarlo sul banco degli accusatori più alto della città è stato il ritiro - per nulla prematuro - del suo predecessore: il venerabile Robert Morgenthau, che nel 2009, a 90 anni e dopo 36 anni su quella poltrona, decise di non candidarsi per la rielezione. Lo stesso Morgenthau, la grande stampa come il New York Times, il Daily News e il New York Post, e figure politiche importanti come l'ex sindaco David Dinkins puntarono su Vance, un ex viceprocuratore distrettuale di solido background democratico - che in una zona così liberal come Manhattan, avrebbe avuto la vittoria in pugno.
Quest'anno Vance punta alla rielezione a un terzo mandato. Solo che tra la vittoria nelle primarie del 12 settembre (in America i magistrati si eleggono esattamente come qualunque carica politica) e il ballottaggio del 7 novembre gli è arrivata tra i piedi la grana Weinstein. Più fragorosa e glamour di quella Ivanka/Donald Jr.
Vance insabbia, la polizia si infuria
"Avevamo le prove", ha riferito al New Yorker una fonte della polizia per quanto riguarda Weinstein, "per perseguirlo per aver aggredito la modella italo-filippina di 22 anni Ambra Battilana Gutierrez nel marzo del 2015". Era stata la stessa Gutierrez a denunciare l'aggressione di Weinstein alla polizia che l'indomani le aveva messo un microfono addosso e aveva registrato il produttore mentre ammetteva di essere un habituee delle molestie. Pochi mesi dopo che Vance decise di non incriminare Weinstein, il suo avvocato, David Boies, donò 10.000 dollari alla campagna di rielezione, come riferisce il Business Times International. I rappresentanti di Vance e Boies hanno negato qualsiasi connessione tra il contributo elettorale e la decisione di non incriminare Weinstein, sottolineando che Boies ha donato 55.000 dollari a Vance negli anni e che Boies non rappresentava Weinstein nel caso Gutierrez.
Cosa c'entrano i figli di Trump
Ma le grane per il procuratore non sono limitate al caso Weinstein: New Yorker, ProPublica e WNYC ha scoperto che Vance aveva chiuso un'altra inchiesta su ricchi e potenti - in questo caso, i figli di Donald Trump - ricevendo un grande contributo da un avvocato vicino alla vicenda.
Nel 2012, Ivanka e Donald Trump Jr. erano sotto inchiesta per false dichiarazioni fatte nelle carte per lo sviluppo edilizio relativo all'albergo Trump SoHo. Avevano detto ai potenziali acquirenti e ai media, che gli appartamenti si vendevano alla grande e che nel giugno del 2008 già il 60% era stato comprato. L'obiettivo era creare l'illusione di una forte domanda per avere offerte superiori per le unità ancora sul mercato.
Ma le affermazioni di Ivanka erano false: nel marzo 2010, solo il 15,8% delle unità era stato venduto. Ciò ha portato a una causa nei confronti dei Trump da parte degli inquilini, e i fratellini rischiavano l'incriminazione per aver violato la legge Martin che proibisce false dichiarazioni nel corso della vendita di un immobile. Anche in questo casi gli inquirenti avevano a disposizione una valanga di prove e l'ufficio del procuratore ha passato due anni a costruire un processo contro Ivanka e Donald Jr. Poi nel 2012 l'avvocato personale di Donald Trump Sr., Marc Kasowitz andò direttamente da Vance per una riunione e cominciò un noioso e complicato giro di soldi. Basti sapere che cifre tra i 25mila e i 32mila dollari partirono dal conto di Kasowitz per entrare e uscire dalle casse della campagna elettorale di Vance finché si decide che anche dell'inchiesta contro i Trump non se ne sarebbe fatto nulla.
Una faccenda complicata, vero? Ma dimostra quanto pesanti possano essere le implicazioni di quello che sembrava essere 'solo' uno scandalo sessuale e ora rischia di travolgere come una palla da bowling tanti birilli della giustizia e della politica statunitense. Ma voi volete sapere a che punto siamo con la rubrica delle molestie di Weinstein, vero? Eccovi accontentati:
Angelina la dura e Paltrow la tremebonda
Tutto sommato finora il carnet delle molestie di Weinstein ha lasciato piuttosto indifferente il pubblico italiano. Se non fosse per l'italianissima Asia Argento, si tratta di nomi quasi dimenticati dello star system. Chi, sotto i 30 anni, si ricorda di Mira Sorvino o di Rosanna Arquette? Ma quando a saltar fuori sono nomi del calibro di Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow, l'attenzione di riaccende anche da questa parte dell'Oceano.
Al New York Times la Jolie ha raccontato di essere stata 'approcciata' da Weinstein da giovane e di aver deciso per questo non non voler mai più lavorare con lui. Non solo: di mettere chiunque in guardia dalle sue attenzioni. Più complicata la vicenda Paltrow. L'attrice aveva solo 22 anni quando il produttore le propose di fargli un massaggio (sì: era il suo modus operandi).
"Ero all'inizio della mia carriera, ero terrorizzata dall'idea che potesse distruggerla, ma scappai via lo stesso" racconta la Paltrow, "dissi cosa era successo al mio ragazzo di allora (Brad Pitt, mica uno qualunque, ndr) che si infuriò, affrontò Weinstein e gli disse di tenersi alla larga da me. Per tutta risposta Weinstein mi richiamò furibondo e mi fece una piazzata così violenta che temetti che non avrei lavorato mai più". Invece i due continuarono a lavorare insieme, tanto che nel 1999, con un film prodotto proprio da Weinsetein - 'Shakespeare in love' - la Paltrow vinse l'Oscar. Non è però una storia alieto fine. Come spesso è accaduto con le 'conquiste' del produttore più famelico di Hollywood, la carriera della Paltrow ha cominciato un lento, elegante declino quando lui si è stufato del 'giocattolo'.