Pedro Sanchez ce l'ha fatta, anche se per un soffio: con soli due voti di scarto (167 sì contro 165 no e 18 astenuti), il premier socialista ha ottenuto l'investitura del parlamento spagnolo e con questa il via libero al primo governo di coalizione dal franchismo ad oggi. Nasce così l'esecutivo Psoe-Podemos, che metterà fine ad un lunghissimo periodo di stallo politico che le ben due elezioni legislative svoltesi dell'anno scorso (aprile e novembre 2019) non erano riuscite a sbloccare.
È sin dalla scorsa primavera che il governo Sanchez si occupava solo degli affari correnti, ora avrà un esecutivo nel pieno dei suoi poteri. Oltre ai voti di socialisti e Podemos, il premier ha ottenuto anche quelli di varie formazioni regionali, tra cui i nazionalisti baschi: ma sostanzialmente la svolta è stata resa possibile dall'astensione della più grande formazione di separatisti catalani, l'Erc (Esquerra Republicana de Catalunya), permettendo di raggiungere la maggioranza semplice sui 350 seggi complessivi.
Al primo voto di domenica scorsa era ancora necessaria una maggioranza di 176 seggi, che Sanchez aveva mancato di dieci voti. "Con il governo di coalizione progressista, la Spagna apre un'epoca volta ad affermare il dialogo e la politica utile", ha commentato poco dopo il voto Sanchez su Twitter. "È un governo per tutti che estende i diritti, ripristina la convivenza e difende la giustizia sociale", continua il primo ministro socialista, "oggi inizia un tempo di moderazione, progresso e giustizia sociale". Ma non sarà una passeggiata per Sanchez, questo è chiaro.
El Pais parla della "più risicata entrata in funzione di un governo di tutta la nostra storia democratica". I deputati del Psoe hanno dovuto tremare fino all'ultimo: se qualche deputato si fosse ammalato oppure avesse votato in modo diverso da quanto dichiarato, sarebbe stata sconfitta certa. È sempre il Pais ad affermare che per riuscire a passare le necessarie riforme e comunque per il normale lavoro legislativo è necessario un equilibrismo continuo: non solo non sarà facile trovare la quadra tra le idee spesso difformi di Psoe e Podemos, pure l'opposizione di conservatori, liberali e ultradestra promette di non fare sconti, come si è visto durante il dibattito parlamentare di questi giorni, piuttosto turbolento. "So bene di non poter contare su un'opposizione leale", ha messo avanti le mani Sanchez.
Quale prezzo pagare ai separatisti?
Il problema è che anche coloro che l'hanno aiutato a passare l'odierna prova plausibilmente faranno pesare ogni mossa, a cominciare dai catalani dell'Erc: entro 15 giorni, questo il patto, le parti dovranno aprire un dialogo sull'autodeterminazione della regione. "Senza un tavolo di trattative la legislatura non parte", ha tuonato qualche giorno fa Gabriel Rufian, capo del gruppo Erc nel parlamento di Madrid.
D'altra parte, le concessioni e le aperture ai separatisti hanno creato molto scontento, non solo a destra, ma anche tra molti cittadini, che le considerano poco meno che una forma di tradimento. Tensioni che certo non si sono affievolite, con i vecchi leader separatisti in carcere oppure in esilio, vieppiù che sono stati proprio i catalani a rifiutare nel febbraio dell'anno scorso la legge di bilancio targata Sanchez aprendo di fatto il corto-circuito sancito da due voti anticipati consecutivi. Per dire del clima, alcuni manifestanti ancora lo scorso settimana hanno issato striscioni con la scritta "Traditore!" davanti al Parlamento, gridando "Sanchez, meriti la galera". Non è tenero neanche il quotidiano Abc, di segno conservatore, che scrive: "La Spagna ha ora un governo socialista-comunista, che viene sostenuto dai separatisti".
La fine del bipartitismo
Domani probabilmente ci sarà il giuramento dinnanzi a re Felipe. L'argomento forte di Sanchez è che il Paese ha bisogno di un governo stabile per le necessarie riforme, e all'orizzonte non pare esserci un'alternativa all'alleanza Psoe-Podemos: i popolari sono lontani da una maggioranza, se non - e anche questo è da vedere - con l'appoggio di Vox, il partito dell'ultradestra.
Il quadro politico, osservano i commentatori, è frammentato come non mai in Spagna, il vecchio sistema bipartitico ormai è tramontato, anche se è indubbio che il Psoe abbia vinto ambedue le elezioni dell'anno trascorso. I primi propositi del premier e di Pablo Iglesias, il leader di Podemos, sono quelli di alzare il reddito minimo, l'Iva per i più abbienti e l'imposta sulle plusvalenze, nonché di impegnarsi in una maggiore difesa dei diritti delle donne e dei migranti. La strada è tutt'altro che in discesa.