Troppe proteste, troppe critiche, troppe polemiche: dopo due anni di tira e molla, Google ha detto addio al suo progetto di creare un enorme campus dedicato alle start-up nel quartiere di Kreuzberg, a Berlino.
Avrebbe dovuto sorgere in una ex centrale elettrica nel più “alternativo” dei rioni della capitale tedesca, ma il colosso digitale alla fine ha deciso di gettare la spugna. Al suo posto nello stabilimento al Paul-Linke-Ufer farà il suo ingresso una “Casa per l’impegno sociale”, gestita dalla piattaforma digitale “Betterplace” per raccolta fondi di beneficenza e dall’associazione Karuna, che si occupa di programmi per bambini e adolescenti bisognosi. A loro i responsabili di Google hanno già provveduto di consegnare le chiavi dell’antico edificio diversi giorni fa.
Orgoglio sociale, per non dire socialista
“Kreuzberg non si è piegata”, è la scritta che si legge su un muro non distante dall’ex centrale. Il fatto è che i progetti di Google si erano scontrati con la crescente protesta degli abitanti del quartiere, da sempre considerato il più “bohemien” dei rioni berlinesi. In prima fila i tanti attivisti anti-gentrificazione, secondo i quali l’arrivo del gigante Usa avrebbe contribuito a scacciare gli abitanti meno abbienti dal quartiere.
L’accusa è chiara: Google avrebbe “snaturato” Kreuzberg, una delle più vivaci circoscrizioni di Berlino, tra artisti, movida, ristoranti etnici, migranti anche di seconda e terza generazione, circoli politici di sinistra. Poco più di un mese fa, gli attivisti anti-campus si erano barricati per qualche ora nell’edificio: per sgomberarlo sono intervenute le forze dell’ordine.
Anche i rivoluzionari trattano
Dietro tutto questo però ci sono mesi di trattative. Come scrive la Berliner Zeitung, le due associazioni hanno condotto “numerosi colloqui” sul progetto del Campus, nei quali si è sempre ribadito che “a Berlino le necessità delle organizzazioni non-profit sono ben più grandi di quelle delle start-up, per le quali ci sono già tantissime offerte di nuovi spazi”. E’ per questo che, a detta dei responsabili di Karuna, “Google ha deciso di destinare questo luogo esclusivamente ad attività con scopi sociali”.
E anche Google deve adattarsi
Il rappresentate di Google Rowan Barnett ora fa buon viso: “E’ da diverso tempo che ci era chiaro che l’ex centrale non dovesse essere dedicata solo alle start-up. Il nostro obiettivo era di creare una realtà che servisse alla comunità e renda giustizia a questo quartiere così variegato”. Ora, con la “Casa per l’impegno sociale” l’azienda americana intende “fornire un contributo sostanziale per il rafforzamento della società civile di Kreuzberg”.
I piani erano diversi
Sono passati due anni da quando Google ha annunciato i suoi piani: un campus disposto su 3000 metri quadri, nel quale far posto alle start-up con lo stesso gruppo informatico Usa a fare da mentore con un apposito programma.
“Non ci lasciamo dettare da chi protesta quello che dobbiamo fare”, aveva detto Ralf Bremer, portavoce di Google. Che ora già ha in cantiere nuovi progetti per le start-up nella capitale tedesca: i primi uffici apriranno a breve nella Tucholskystrasse, in centro. Ma un vero e proprio campus sul modello di quelli già esistenti per esempio a Sao Paolo e a Madrid per ora non è previsto, ha aggiunto Bremer.
I Verdi sono felici, i cristiano-democratici molto meno
Da parte sua la responsabile del Senato berlinese per la programmazione economica, Ramona Pop, del partito dei Verdi, ritiene che i nuovi piani per l’ex centrale “mostrano la crescente importanza di imprese sociali e orientate alla sostenibilità ambientale, senza parlare dell’economia no-profit”.
In termini di sfide per il futuro, Pop vede un grande potenziale nell’incontro tra “imprese ecologico-sociali e realtà innovative del mondo della tecnologia”. Non sono assolutamente d’accordo i partiti che a Berlino stanno all’opposizione, tra cui la Fpd e la Cdu. Il capogruppo dei liberali Sebastian Czaja parla di un “disastro”, ritenendo che il messaggio che si dà a imprese e investitori è “assolutamente non venite a Berlino, e men che mai a Kreuzberg”. Czaja pensa che i nuovi progetti “sabotino ogni possibile cambiamento”.
Il portavoce per gli affari economici dei cristiano-democratici, Christan Graeff, mette il Comune di Berlino sul banco degli imputati: “E’ un duro contraccolpo per l’economia della città”, dato che un gruppo globale come Google “funziona da motore per altri fornitori di servizio e piccole aziende”. In una parola: “Il buon nome di Berlino è gravemente danneggiato”.
Il sovranismo versione Kreuzberg
Oltre alle proteste, anche la politica locale non aveva assicurato vita semplice al colosso americano: il presidente del municipio di Kreuzberg, Florian Schmidt, per esempio, aveva negato a Google i permessi necessari per la ristrutturazione dell’ex centrale. “Il messaggio era chiaro – scrive ancora la Berliner Zeitung – se venite qui, ci sono regole molto rigida da rispettare”. Come dire: non è che Google, solo perché è un gigante globale, qui può fare come gli pare.
Ora Schmidt accoglie con entusiasmo la decisione dell’azienda Usa: “Sono venuti incontro alle richiese della politica e della popolazione. Noi accompagneremo il nuovo progetto e ci impegneremo ancora per la sostenibilità sociale dello sviluppo immobiliare”. Aggiunge uno dei leader della protesta, Stefan Klein: “Noi eravamo certi che prima o poi di fronte alla crescente pressione pubblica Google avrebbe ceduto. E’ un’impresa che diventa sensibile quando ne va della sua immagine”.
L’apertura della “Casa per l’impegno sociale” è prevista per aprile 2019. Tra i temi che intende affrontare, anche con altre realtà che saranno invitate da tutta la Germania, il dramma dei senza tetto e la carenza di abitazioni popolari.