Xi Jinping potrebbe restare al potere a tempo indeterminato ma non è mosso da una smania di potere, piuttosto la Cina "vuole garantire al presidente la possibilità di una guida che non cambi nel tempo di due mandati quinquennali, che per noi occidentali è già lungo". Lo ha detto in una intervista all'Agi Franco Frattini, già ministro degli Esteri e presidente della Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale, dopo la proposta annunciata dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese di eliminare dalla Costituzione cinese il limite dei due mandati per il presidente, che - se ratificata dalle "due sessioni" (l'Assemblea Nazionale del Popolo che si apre il 5 marzo) - spianerà la strada a Xi per occupare questa posizione oltre la scadenza del 2023.
L'emendamento aveva suscitato diverse polemiche, anche nella stessa Cina, e sollevato paragoni con la Corea del Nord, con il passato maoista e con la prima epoca repubblicana. "In questa mossa - ha invece spiegato Frattini - vedo soprattutto una coerenza con la lunghezza di visione tipica dei cinesi alla quale occorre adeguare una continuità di leadership. Credo che sia in atto una forte azione di rinnovamento e di cambiamento interno al Partito e quindi alla struttura dello Stato. La volontà riformista di Xi richiede tempi necessariamente lunghi. La sfida politica del leader cinese sarà quella di dimostrare ai quadri di partito, che oggi lo ossequiano ma che domani potrebbero fargli la fronda, che questo cambiamento non intacca il loro ruolo. Xi sa bene che un uomo solo al comando in Cina può non funzionare".
La riforma costituzionale riguarda anche la creazione di un sistema nazionale di supervisione in chiave anti-corruzione, "il corollario indispensabile per sottrarre Xi Jinping e il suo team più ristretto all'accusa che i quadri potrebbero rivolgergli, di aver creato un sistema di potere con zero controlli", ha detto il presidente della SIOI. "La saggezza cinese viene sempre fuori - ha aggiunto - nel momento in cui rafforza un peso, crea un contrappeso".
La seconda economia mondiale è l'unico Paese oggi in grado di esprimere una visione di lungo periodo. La Via della Seta, il progetto di collegamento infrastrutturale via terra e via mare tra Asia ed Europa voluto dallo stesso Xi nel 2013, esprime al massimo una strategia con cui la Cina "ancora una volta gioca una partita solo apparentemente economica, ma profondamente geopolitica". Da molti definito (erroneamente) un nuovo Piano Marshall, "dobbiamo dare fiducia al progetto, apprezzarne il disegno geopolitico e non meramente economico, e sicuramente partecipare".
L'Italia deve fare sistema se vuole giocarsi un ruolo. "Un tempo - ha spiegato Frattini - c'erano le stazioni di posta dei cavalli dove si fermava Marco Polo, oggi ci sono le stazioni della nuova Via della Seta. Noi italiani abbiamo una possibilità straordinaria. I cinesi sono interessati a Trieste e Venezia, ce lo hanno detto chiaramente, lo dicevamo anche a me prima ancora che nascesse il progetto. Se la stazione di posta tra i due porti diventa lo snodo per l'interconnessione sud-nord e est-ovest, possiamo trasformare Venezia o il golfo di Trieste in uno degli snodi principali per i commerci che transitano verso il Nord Europa. Ma dobbiamo fare sistema".
A poche ore dalla diffusione della proposta del Comitato Centrale del Pcc, il Global Times scriveva in un editoriale che “il cambiamento non significa che il presidente cinese avrà un mandato a vita”, ribadendo la fiducia nella leadership.
"Nella proposta di eliminare il limite dei due mandati per Xi Jinping, vedo innanzitutto coerenza con la lunghezza di visione alla quale la Cina deve adeguare una continuità di leadership. Nei miei frequenti contatti istituzionali con la Cina, a partire dagli incontri con il predecessore del presidente Xi, Hu Jintao, e con l'ex premier Wen Jiabao, ho sempre compreso che la leadership cinese guarda ai problemi con una visione di media-lunga durata. Il mio omologo ministro degli Esteri, oggi autorevole membro del consiglio di Stato, parlando delle conferenze sull’ambiente, mi faceva notare che mentre noi europei guardiamo al 2025, loro guardano almeno al 2050. Questa proiezione è probabilmente una delle ragioni che hanno indotto la proposta di un importante cambiamento costituzionale, che non è collegata a una smania di potere del leader cinese ma a una coerenza con quella visione di lunghissimo termine che noi occidentali guardiamo con ammirazione".
Xi ha accumulato un potere infinito: da ottobre 2016 detiene la carica di “core leader”, e l'iscrizione nello statuto del Partito del suo contributo ideologico, legato al suo nome, alla fine del diciannovesimo Congresso del PCC dell’ottobre scorso, lo ha posto sullo stesso livello di Mao Zedong e di Deng Xiaoping.
"Credo che sia in atto una forte azione di rinnovamento e di cambiamento interno al Partito, e quindi alla struttura dello stato. La volontà riformista di Xi richiede tempi necessariamente lunghi. Nella visione cinese ritrovo una frase scolpita nella storia d’Italia, quando il grande De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, presentando il suo governo alle Camere, disse che la differenza tra un politico e un uomo di stato è che il primo guarda alle prossime elezioni, il secondo alle prossime generazioni. Come facciamo noi a guardare alle prossime generazioni con il rischio ogni sei mesi di elezioni regionali, comunali, e amministrative? L’obiettivo del modello politico cinese, che è molto diverso dal nostro, e verso il quale ci vuole grande rispetto, è di alimentare una visione lontana dalla cadenza quinquennale di una o due legislature".
Una rottura con la tradizione denghista in cui molti osservatori vedono il rischio di una involuzione istituzionale e l’uscita dal concetto di leadership collettiva introdotta in epoca post-maoista.
"La sfida politica più importante per Xi Jinping sarà quella di dimostrare che una struttura così articolata e forte come il Partito Comunista Cinese può continuare a svolgere la sua funzione di guida collettiva anche con un presidente che può durare ben più di un cambio generazionale. Xi dovrà provare ai quadri di partito, che oggi lo ossequiano ma che domani potrebbero fargli la fronda, che questo cambiamento non intacca il loro ruolo. Xi sa bene che un uomo solo al comando in Cina può non funzionare."
La riforma costituzionale riguarda anche la creazione di un sistema nazionale di supervisione in chiave anti-corruzione, un ente al di sopra del Consiglio di Stato, che sottoporrà l’intero sistema a un controllo puntuale
"Questo sarebbe il corollario indispensabile per sottrarre Xi Jinping e il suo team più ristretto all’accusa che i quadri potrebbero rivolgergli, di aver creato un sistema di potere con zero controlli. La saggezza cinese viene sempre fuori: nel momento in cui rafforza un peso, crea un contrappeso. E un contrappeso di questa portata, nell’apparato cinese, non c’era mai stato".
Con Xi al potere, la postura internazionale della Cina è cambiata. La Via della Seta disegna una strategia molto chiara
"Ancora una volta la Cina gioca una partita solo apparentemente economica, ma profondamente geopolitica. La Via della Seta è un progetto politico, non va sminuito come una questione che riguarda soltanto il denaro. Attraversa regioni del mondo in contrasto tra di loro, spesso in crisi e instabili, e ha l’obiettivo altissimo che aveva Marco Polo: dove passano i commerci, non passano le armi. Con l’interconnettività, le infrastrutture e i commerci, punta a portare dal Medio Oriente ai Balcani, dall’Asia centrale alle regioni più delicate e difficile del centro Asia, una prospettiva di crescita e di benessere che allontana le frustrazioni, le crisi, le instabilità".
Non sempre viene però accolta con favore…
"Si tratta di un progetto al quale noi occidentali dovremmo aderire, e che invece in Europa è stato accolto con scetticismo. Ci si lamenta della scarsa trasparenza delle procedure e del fatto che non sappiamo chi detta le regole del gioco, si teme che la Cina lo promuova per suo uso e consumo. Insomma, il solito approccio paraburocratico brussellese, secondo il quale i progetti legati al Belt and Road non possono essere presi in considerazioni se la gara non avviene secondo le procedure che vigono a Bruxelles. Errore gravissimo. La Cina va avanti lo stesso. Nei Balcani, quelli che erano i grandi corridoi trans europei saranno pezzi della Via della Seta. In Serbia, la ferrovia veloce Belgrado-Budapest finanziata dai cinesi (in fase di stallo per presunte irregolarità rispetto alle normative dell'Unione Europea, ndr) sarà uno dei tratti che si collegheranno con la Grecia, dove i cinesi hanno comprato il porto del Pireo. Un tempo c’erano le stazioni di posta dei cavalli dove si fermava Marco Polo, oggi ci sono le stazioni della nuova Via della Seta. Noi italiani abbiamo una possibilità straordinaria. I cinesi sono interessati a Trieste e Venezia, ce lo hanno detto chiaramente, lo dicevamo anche a me prima ancora che nascesse questo progetto. Se la stazione di posta tra i due porti diventa lo snodo per l’interconnessione sud-nord e est-ovest, possiamo trasformare Venezia o il golfo di Trieste in uno degli snodi principali per i commerci che transitano verso il Nord Europa. Dovremmo cogliere al volo questa occasione. Fare arrivare ai nostri porti qualche centinaia di milioni di container provenienti dal Sud e che passano dal Canale di Suez, vuol dire risparmiare 15 giorni di navigazione intorno all’Africa".
Cosa deve fare Pechino per convincere i più scettici?
"Il progetto può realizzarsi a condizione che la Cina faccia davvero quello che sta promettendo, ovvero offra una piattaforma di collaborazione e non la trasformi in una idea neo-colonialista, che - come sappiamo - è la preoccupazione principale di noi occidentali. Gli interlocutori con cui ho parlato di recente mi hanno spiegato che la Cina vuole entrare davvero in Europa e nei Balcani, i cinesi hanno tutto l’interesse a lanciare dei ponti verso aree del mondo in cui non sono il numero uno, non gli interessa lanciare una rete. Credo che si debba dare credito a queste rassicurazioni pur continuando a osservare con attenzione l’evoluzione del progetto. Insomma, dobbiamo dare fiducia alla Via della Seta, apprezzarne il disegno geopolitico e non meramente economico, e sicuramente partecipare".
Dopo la partita persa di Taranto e Gioia Tauro, quando si pensa all’interesse della Cina di investire su Trieste, Genova o Venezia, ci si chiede se il sistema Italia sia oggi in grado di fare proposte concrete
"La risposta è semplice: se l’Italia fa sistema certamente potremo diventare un interlocutore attraente. Su Taranto avevo personalmente preso contatti con le grandi società di container e avevo lavorato su un grande investimento relativo al traffico commerciale, ma una volta mancava l’autorizzazione, un’altra un ente locale si metteva di traverso (l'inserimento del porto tarantino nel progetto cinese, insieme ai porti dell'Alto Adriatico e dell'Alto Tirreno, è stato rilanciato dal ministro Delrio in occasione della visita di Stato di Mattarella nel febbraio del 2017, ndr). Se l’Italia non fa sistema perdiamo pure questa occasione. Abbiamo sottovalutato le potenzialità del commercio e degli affari con la Cina. L’ultimo vertice di livello che seguii personalmente a Roma, quando nel 2009 Berlusconi incontrò a Roma l’allora presidente Hu Jintao, stabilì l’obiettivo di raggiungere 100 miliardi di interscambio. Ad oggi siamo molto lontani da questa meta. Berlusconi i conti li aveva fatti bene. L’interesse per l’Italia c’è ma deve essere soddisfatto".
Xi riempie gli spazi lasciati vuoti da Trump e propone una visione di globalizzazione sinocentrica. Un modello ben diverso da quello americano…
"Il modello americano corrisponde a quello che in molti Paesi europei è fortemente sentito, interpreta il timore che una globalizzazione senza controlli alla fine siano i più deboli a pagarla. Non c’è molto di sbagliato in questo. C’è però che i cinesi hanno rilanciato un tema a cui è difficile dire di no. Se oggi il mondo, anche se non ci piace, è globalizzato, le risposte debbono essere globali. Non possiamo rispondere a un tema globale come le migrazioni, dicendo che i nordafricani se la vedono da loro, perché noi ce la vediamo da noi. Ci piaccia o meno, se i problemi non li affrontiamo insieme, ci arrivano nel giardino di casa. Ma la nostra visione non può essere sinocentrica, non possiamo seguire il modello della globalizzazione senza se e senza ma. D’altro canto è anche sbagliato imporre unilateralmente dei dazi. Se la Cina ha fatto in passato del dumping sociale e ambientale, è stata l’Europa a pagare il prezzo più salato, soprattutto l’Italia che è un paese manifatturiero. Credo che sia interesse dell’Europa avere un mercato aperto con la Cina, ma se siamo sommersi da falsi cinesi, questa è concorrenza sleale. Ha ragione Xi a parlare di libero mercato e di concorrenza trasparente e corretta. La Cina non può limitarsi a parlare soltanto di competizione senza freni, deve introdurre delle regole per noi indispensabili. Altrimenti si va nell’opposto di Trump".
Qual è il tratto più distintivo della “nuova era” cinese emersa dal Congresso di ottobre scorso?
"La più grande novità è che Xi Jinping non fa mistero di voler essere un leader globale e politico. Oggi tutti sanno che se non si muove la Cina, il dossier nordcoreano non si risolve, la questione delicata della Siria resta ferma perché c’è un veto in Consiglio di sicurezza, e l’Africa non fa progressi. Quindi la tradizionale e dichiarata neutralità cinese viene declinata in campo militare, ma non è affatto neutralità geopolitica. Questo è un fatto nuovo importantissimo".