Le immagini di un paese improvvisamente isolato e desertificato. La vita non è più in strada, nelle piazze, sui posti di lavoro. Muoversi è correre un rischio, ma la vita deve andare avanti
Biglietteria dell'aeroporto di Jinan (Shandong). Immensi spazi deserti, corsie vuote. Nessuno vola, nessuno si sposta. Viaggia solo la voce, al telefono
Aeroporto di Shanghai. Si parte per la festività del capodanno cinese. Senza sapere, senza vedere, senza immaginare. Il coronavirus è invisibile agli occhi, ma è già presente e immanente.
Pechino, il cuore del potere, la Città Proibita che fu dell'imperatore e oggi è il dominio del successore del Grande Timoniere, il presidente Xi Jinping. Il paradosso della storia, della parola, dell'epidemia: chiudere la Città Proibita.
Wuhan. L'attesa e il vuoto. I letti di un ospedale temporaneo. Pensate, era un teatro e oggi va in scena la rappresentazione del coronavirus. Siamo in presenza di un'assenza, di uno spazio senza vita che presto ospiterà persone, uomini, donne e bambini ai quali bisogna salvare la vita.
Metropolitana di Pechino. Wuhan è lontana un migliaio di chilometri, ma lo spettro del virus è ovunque. In superficie e sottoterra. Ci si siede lontani, protetti dallo schermo della mascherina, in un vagone quasi vuoto. Sono in tre in un paese di 1,4 miliardi di abitanti
Lianyungang, provincia del Jiangsu. Il fragore delle macchine tace. Là dove centinaia di operai lavoravano senza sosta sui macchinari, ora regna il sibilo delle pompe utilizzate per spargere disinfettante. Il virus deve essere stanato ed eliminato ovunque: dalle superfici lucide dei laboratori hi-tech e dagli ingranaggi lubrificati dei motori. Il virus può essere ovunque
Ulsan, Corea del Sud. Attesa, timore, inquietudine. Il futuro dell'economia mondiale è incerto, sfocato. "La fabbrica del mondo", la Cina stenta a ripartire. Torneranno a rombare i motori della crescita?
Aeroporto di Tianhe, Wuhan. Il "demone" è fuori controllo, Pechino schiera i suoi guerrieri: i medici dell'Esercito di Liberazione popolare.