AGI - In un epoca di corse in aeroporto, check in (online e non), imbarchi e bagagli da pesare, un viaggio 'slow' è un privilegio sempre più raro di cui in Turchia è possibile godere grazie all'Est Express (Dogu Ekspresi), una linea ferroviaria degli anni 30 riattivata nel 2019 che attraversa metà Paese, da Ankara a Kars, città al confine con l'Armenia resa famosa dal romanzo 'Neve' del premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk. La popolarità di questa tratta è letteralmente esplosa grazie ai social media, al punto che le ferrovie turche hanno attivato un treno 'turistico' che, come si conviene, non parte dalla nuova e modernissima stazione della capitale, ma dai vecchi binari. Vagoni che per design e carrozzeria sono lontani dagli aerodinamici treni ad alta velocità, ma comunque dotati di piacevoli cuccette a due letti, comode poltroncine e un carrozza ristorante che rendono confortevole la lunga traversata: 26 ore di viaggio cui vanno sommate due fermate di 3 ore.
Il personale è cordiale e si prende particolarmente cura dei viaggiatori stranieri. Una premura normale in un Paese in cui l'ospite e ancora 'sacro', anche se vive in Turchia da 10 anni come il sottoscritto. Al resto ci pensano i panorami mozzafiato che, come un quadro in continuo cambiamento, colorano gli ampi finestrini, rapiscono lo sguardo, mutano la percezione del tempo, inducono a uno stato di calma al limite della meditazione.
Gole, canyon, fiumi, steppe, montagne, piccoli villaggi, i mille volti dell'altopiano anatolico si alternano senza sosta man mano che il treno, lentamente, percorre i più di mille chilometri che separano la capitale dalla città di Kars. Un lungo viaggio in un territorio che affascina pur rimanendo aspro, roccioso. Una terra dove il verde di fiumi come l'Eufrate si alterna a innumerevoli sfumature di terra e roccia, che vanno dal rosso al nero; colori che cambiano fino ad abbagliare quando ci si alza di quota, si superano i 1.500 metri di altitudine e i riflessi del sole rimbalzano sulla neve adagiata sulle colline dell'Anatolia. La prima delle due fermate arriva dopo quasi 20 ore di viaggio, nella città di Erzincan. Un centro dell'Anatolia centro settentrionale che dal punto di vista architettonico ha poco da offrire. La città è stata rasa al suolo dal terremoto del 1939. In una fredda notte di dicembre una scossa di magnitudo 7.9 uccise 33 mila persone in quello che, fino al sisma del 6 febbraio 2023, è stato il terremoto più letale della storia della Turchia. A distruggere tutte le antiche architetture della città fu la faglia nord anatolica, non la stessa che ha devastato il Sud del Paese lo scorso anno. Di quella tragedia la gente ricorda soprattutto che a prestare soccorso il governo inviò i condannati direttamente dalle carceri del Paese. Nella memoria della gente è rimasto la storia secondo cui nessuno dei galeotti approfittò della tragedia per evadere.
Un nuovo sisma ha colpito la città nel 1992, magnitudo 6.8, più di 600 i morti. Una storia tragica, che ha lasciato poco e nulla da visitare, se non il locale bazar dove fanno bella mostra utensili di rame lavorati localmente. Una breve puntata alle vicine cascate di Girlevik però aiuta a godere di un panorama spettacolare. Erzincan si trova in una conca tra montagne innevate che permettono allo sguardo di spaziare e ai polmoni di respirare aria purissima. Il viaggio riprende in direzione Erzurum, seconda fermata che questo treno 'slow' ha bisogno di 4 ore per raggiungere. Il piccolo centro della città, facilmente raggiungibile a piedi, possiede dei gioielli che è possibile visitare in poche ore: la madrassa del 1200 con il doppio minareto (Cift Minareli), una delle pochissime architetture selgiuchidi della Turchia, la madrasa Yakutiye, costruita cento anni più tardi dalla dinastia Ilkhanide, la moschea Ulu Camii, il castello e le tombe monumentali Uc Kumbetli. Specialità di Erzurum il cag kebab, spiedini di carne di montone serviti con un taglio finissimo. Una prelibatezza che difficilmente si trova in altre zone del Paese. L'arrivo nella notte a Kars segna la fine del lungo viaggio in una città fredda, addormentata, dove la neve ricopre tetti e strade regalando al viaggiatore la stessa atmosfera del libro 'Neve' di Pamuk.
Un'atmosfera che avvolge e che invita a fermarsi qualche giorno, scelta ideale per smaltire le scorie del lungo viaggio. Oltre alla imponente cittadella che sovrasta la città e a una antica chiesa georgiana convertita in moschea nell'undicesimo secolo, Kars è costellata da architetture russe in stile baltico che danno l'impressione di trovarsi in un Paese caucasico, più che in Turchia. Fino al 1918 Kars ha fatto parte della Russia bolscevica, prima di passare sotto il controllo di un impero ottomano in crisi, essere annessa dall'Armenia nel 1919 e tornare definitivamente sotto controllo turco in seguito alla guerra turco-armena del 1920.
L'intera provincia fu uno dei luoghi simbolo del genocidio armeno del 1915 da parte dell'esercito ottomano e delle popolazioni curde locali. Una tragedia fonte di continue polemiche, la Turchia ha infatti riconosciuto i massacri di quegli anni, ma rifiuta di accettare il termine "genocidio". L'influenza caucasica è visibile non solo nell'architettura, ma anche nella musica, nei frequenti spettacoli di danza e nelle specialità gastronomiche come il bollito d'oca, le polpette di Yerevan e i locali ravioli con la cipolla (hengel).
Situata a un'altezza di circa 1800 metri, Kars si trova in un territorio duro, spopolato, difficilmente coltivabile, ma ideale per l'allevamento di animali. Proprio dal latte di vacca nascono i formaggi locali: il kasar che viene lasciato a stagionare per 2 anni e una sorta di groviera chiamata mersedes, che necessita di 25 litri di latte per un solo litro. Prodotti che sono il frutto del lavoro e la fonte di orgoglio della gente, che al momento della vendita avrà la premura di spiegare il processo di produzione come se non si trattasse di formaggi, ma di gioielli. A poche decine di chilometri da Kars si trovano le Ani, la 'città delle cento chiese'. Patrimonio dell'Unesco, Ani nel medioevo fu la capitale dell'impero armeno, ma nel periodo di massimo sviluppo, nei secoli successivi, arrivò a contare più di 100 mila abitanti e rivaleggiare per importanza con Bagdad e Costantinopoli. Protetta su tre lati dalle profonde gole di un affluente del fiume Aras, che a pochi chilometri di distanza segna un tratto del confine tra Turchia e Armenia, la città era difesa da possenti mura sul quarto lato. Mura il cui spessore è ancora visibile, ma che non resistettero alle continue invasioni e attacchi, tra cui quello dei mongoli nel tredicesimo secolo. Un'invasione che segno' l'inizio di un lentissimo declino fino all'abbandono totale avvenuto cinquecento anni dopo.
Il sito è esteso, cinto da profonde gole e canyon che rendono il panorama spettacolare su tutti i lati dell'antica città. Anche qui spicca la antica cittadella, tuttavia sono le architetture armene, chiese e la cattedrale, e la moschea e la madrasa selgiuchidi lo scrigno di vere e proprie raffinatezze architettoniche. Intagli nella pietra, bassorilievi con animali e scene di caccia, affreschi con scene della vita dei santi caratterizzano le rovine che rendono Ani un posto unico, immerso in un panorama sconfinato. Ultima tappa il lago Cildir, specchio d'acqua dove il ghiaccio è così spesso da poter sostenere slitte trainate da cavalli e da rendere necessario praticare spessi buchi nel ghiaccio per poter pescare. Il lago, meta di birdwatcher provenienti da tutto il mondo in estate e autunno, è ora immerso in un panorama quasi artico. Il bianco della neve si perde a vista d'occhio sulle colline che circondano questo specchio d'acqua avvolto in un silenzio quasi innaturale, mentre volpi dal pelo folto si aggirano furtive a caccia di topi in letargo sotto la terra.
Attraversare i villaggi rende l'idea della durezza della quotidianità per chi qui vive di allevamento. Enormi cani con collari con spine d'acciaio 'anti lupo' iniziano ad abbaiare ogni volta che ci si avvicina alle greggi, capannelli di oche pretendono la precedenza sulle strade infangate, le donne approfittano dei pochi raggi di sole per stendere il bucato. Grossi cumuli di letame fatto a mattoncini vengono accatastati in prossimità delle case. Un combustibile facilmente reperibile e tuttora vitale in un'area priva di alberi ad alto fusto, dove il gas non arriva. Un volo in aereo per il ritorno accorcia il lungo viaggio, ma si fa presto ad accorgersi di quanto check in, imbarchi e nastri bagagli rubino l'essenza al viaggio stesso. Più di 30 ore di treno sono tante, ma l'Est Express regala al viaggiatore il tempo per pensare al paesaggio che muta, alla strada percorsa e da percorrere, sottraendolo alla tirannia della fretta.
Un viaggio che porta in un pezzo di Turchia fuori da ogni schema; una Turchia lontana dagli itinerari turistici, dall'avvolgente caos di Istanbul e dal mare cristallino della costa, al contrario una Turchia di frontiera, plasmata da un clima spietato e da una storia fatta di guerre, invasioni e terremoti che hanno dato un volto unico al nord est di un Paese che sembra un continente in miniatura.