Duecentocinquanta pagine di documenti sensibili riguardanti Facebook, tra cui una serie di email scambiate dai dirigenti del social network tra il 2012 e il 2013, sono stati resi pubblici oggi dal Parlamento britannico. Tra questi anche delle conversazioni dalle quali si evince che il social network avrebbe all’epoca favorito alcuni servizi esterni (tra questi Netflix e AirBnb) nell’accesso ai dati degli utenti, svantaggiando chi non investiva abbastanza nell’acquisto di spazi pubblicitari sulla piattaforma.
I documenti sono stati raccolti durante le indagini della commissione incaricata di ricostruire la vicenda Cambridge Analytica, nella quale una società britannica ha usato i dati di 87 milioni di utenti del social network per tentare di condizionare le opinioni degli elettori in vista della Brexit e delle presidenziali americane del 2016.
“Credo che divulgare questi documenti sia nell’interesse pubblico - ha scritto il parlamentare Damian Collins accompagnando la pubblicazione del file -. Sollevano importanti domande su come Facebook tratta i dati degli utenti, sulle loro politiche di collaborazione con gli sviluppatori di app e su come esercitano la loro posizione dominante nel mercato dei social media”.
Per il deputato, è necessario un dibattito pubblico più ampio sui diritti degli utenti dei social media e delle piccole imprese che devono lavorare con i giganti della tecnologia. “Spero che la nostra commissione d'inchiesta possa difenderli”, ha scritto Collins.
I believe there is considerable public interest in releasing these documents. They raise important questions about how Facebook treats users data, their policies for working with app developers, and how they exercise their dominant position in the social media market.
— Damian Collins (@DamianCollins) December 5, 2018
Il social network ha replicato con una dichiarazione ufficiale, precisando che le email contenute nel documento sono fuorvianti e prese fuori dal loro contesto: “Ci atteniamo alle modifiche apportate alla piattaforma nel 2015 per impedire agli utenti di condividere i dati dei propri amici con gli sviluppatori”, ha detto un portavoce. “Ma i fatti sono chiari: non abbiamo mai venduto i dati delle persone”.
In serata la risposta di Zuckerberg sul suo profilo: “Dal momento che i documenti pubblicati sono solo parte del nostro carteggio, voglio condividere qualche contenuto in più rispetto alle nostre decisioni”, scrive il fondatore di Facebook. Spiega che l’idea con cui era nata Facebook era di rendere tutte le applicazioni più social, ed è per questo che ha permesso per un periodo l’apertura dei dati che poi ha portato allo scandalo Cambridge Analytica: “Quando la maggior parte delle persone usavano Facebook dal computer, abbiamo sostenuto la piattaforma mostrando le pubblicità di fianco le app degli sviluppatori sul nostro sito". Un modello che ha funzionato sulla versione desktop, fino a quando era il canale privilegiato d'accesso.
"Ma sul mobile, le policy di Apple ci hanno impedito di far funzionare altre applicazioni all’interno di Facebook”. Serviva un modello alternativo, e l’azienda l’ha trovato nel lasciare libero lo sviluppo su Facebook ma consentendo agli sviluppatori di comprare pubblicità sul sito. Di qui i 250 mila euro per l’accesso privilegiato ai dati di cui si accusa la società: “Per essere chiari, questo è assai differente dal vendere i dati delle persone. Noi non abbiamo mai venduto i dati di nessuno”, precisa Zuckerberg.