Quando venticinque anni fa i trattati di Maastricht segnarono la nascita dell’Unione Europea e posero le basi per la moneta unica, il mondo correva ancora sull’onda lunga dell’ottimismo successivo alla caduta del muro di Berlino. Un anno prima il politologo statunitense Francis Fukuyama, in un suo celebre saggio, aveva parlato di ‘Fine della storia’: il modello del libero mercato e della società aperta avrebbe trionfato ovunque con Washington nel ruolo di suo supremo garante.
La speranza, poi Genova, l'11 settembre e Lehman Brothers
Le proteste di Seattle e Genova erano ancora lontane e tutto il mondo guardava alla globalizzazione con ottimismo. Le illusioni di Fukuyama si sarebbero infrante l’11 settembre 2001 con l’attentato alle torri gemelle. Ma il vero colpo di grazia arrivò nel 2008 con il crollo di Lehman Brothers e l’esplosione della crisi dei mutui, dalla quale scaturì la crisi del debito che fece tremare le fondamenta dell’euro. Oggi la tempesta euroscettica si è abbattuta su tutti i sistemi politici del europei e in molti Paesi, tra i quali l’Italia, l’euro è diventato il simbolo, quando non il capro espiatorio, del deterioramento economico di quella piccola e media borghesia che guarda con crescente rabbia a una classe dirigente accusata di aver tradito le promesse di quel 7 febbraio 1992 che sembrava dover aprire agli europei i cancelli di un futuro più stabile e prospero.
Se il fuoco del nazionalismo è tornato a bruciare, ad alimentarlo è stato però anche l’atteggiamento di governi che in un’ottica nazionale hanno continuato a pensare, dimostrando spesso di essere i primi a non aver creduto nel sogno di un’Europa davvero unita. Così come sono i governi nazionali a incolpare Bruxelles di ogni problema interno. Se ora gli elettori fanno lo stesso e si gettano tra le braccia del Front National piuttosto che di Alternative Fur Deutschland, parte della responsabilità è anche loro.
Un'Europa nata sui compromessi al ribasso
L’obiettivo dei padri fondatori dell’integrazione europa, come Jacques Delors, era arrivare a una progressiva cessione delle sovranità nazionali che arrivasse a costruire un soggetto politico unico. Francia e Germania, sotto le guide energiche e visionarie di Francois Mitterrand e Helmut Kohl, dovettero però cedere da subito alle resistenze di Paesi, come Olanda e Regno Unito, timorosi che una difesa europea avrebbe privato di senso l’esistenza stessa della Nato.
Una prospettiva indigeribile per Londra, che non intendeva rinunciare alla sua indipendenza in politica estera e al suo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. La cooperazione finì quindi per concentrarsi su quella economica, non importa quanto gli stessi architetti dell’euro, come Tommaso Padoa-Schioppa, avessero messo in guardia sui pericoli di una “moneta senza stato”.
Gli Stati membri economicamente più deboli, come la Spagna, sembravano più ingolositi dai fondi strutturali che preoccupati dagli aggiustamenti di bilancio ai quali sarebbero stati costretti dalla fine dell’epoca della spesa a debito. La Commissione guidata da Jacques Santer troverà il compromesso nella convergenza sui famosi “tre pilastri”:
- cooperazione economica,
- cooperazione diplomatica,
- cooperazione intergovernativa sugli affari interni.
La clausola di ‘opt-out’ a favore della Gran Bretagna, chiamatasi fuori in partenza dal progetto dell’euro, non sarebbe bastata, ventiquattro anni dopo, a scongiurare la Brexit.
Cosa sono i parametri di Maastricht e cosa prevedono
Terminati i negoziati, il trattato sull’Unione Europea viene firmato il 7 febbraio 1992 nella cittadina olandese di Maastricht dai dodici Paesi allora parte della CEE. Muore la Comunità Economica Europea, nasce l’Unione Europea. E, soprattutto, nasce l’Unione Economica e Monetaria.
Quello che verrà chiamato Patto di Stabilità e Crescita fissa i criteri contabili che avrebbero dovuto rispettare i futuri aderenti alla moneta unica, ovvero quelli che vengono comunemente chiamati “parametri di Maastricht”:
- un rapporto tra deficit e Pil non superiore al 3%,
- un rapporto tra debito e pubblico e Pil non superiore al 60% (con deroghe per Belgio e Italia, che registravano già livelli di indebitamento assai superiori),
- un tasso d’inflazione non superiore dell’1,5% a quello dei Paesi più virtuosi,
- un tasso di interesse di lungo termine non superiore al 2% del tasso medio dei tre Paesi suddetti,
- almeno due anni di permanenza virtuosa (ovvero senza fluttuazioni) nel Sistema Monetario Europeo.
Il 1 giugno 1998 la Banca Centrale Europea prese il posto dell’Istituto monetario europeo, in vista dell’introduzione dell’euro il 1 gennaio 1999 e la sua entrata in circolazione altri tre anni dopo.
Le conquiste della cittadinanza europea
Il trattato di Maastricht introduce la cittadinanza europea per tutti coloro che abbiano la cittadinanza di uno Stato membro. Il diritto di stabilirsi, circolare e soggiornare nel territorio della Ue viene rafforzato. Alla libera circolazione di merci, si aggiunge la libera circolazione delle persone.
Le innovazioni principali sono:
- il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni municipali del comune di residenza (in qualunque Paese Ue esso sia) e a quelle del Parlamento europeo dello Stato di residenza;
- il diritto alla protezione consolare attraverso cui un cittadino europeo può chiedere assistenza all'estero alle autorità diplomatiche di un qualsiasi Paese dell'UE in assenza di istituzioni di rappresentanza del proprio;
- il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo su temi di competenza comunitari che coinvolgano direttamente gli interessi del cittadino e l’istituzione di un mediatore comunitario incaricato di tutelare persone fisiche e giuridiche in caso di cattiva amministrazione delle istituzioni comunitarie.
I vantaggi per il cittadino non termineranno però certo qui. Anche al più euroscettico non deve dispiacere, ad esempio, poter contare su cure mediche gratuite in tutta la Ue con la tessera sanitaria del proprio Paese.
Come funziona il principio di sussidiarietà
I trattati di Maastricht ampliarono in modo significativo le competenze delle istituzioni europee. Ambiente, sviluppo delle reti nell’energia, nei trasporti e nelle comunicazioni, protezione dei consumatori, ricerca e sviluppo e coesione economica e sociale (attraverso l’istituzione dei fondi strutturali per le aree più svantaggiate della neonata Ue) diventano ambito della politica comunitaria.
Per le materie non riconosciute di competenza esclusiva di Bruxelles vale il principio di sussidiarietà: l’Unione Europea interviene solo qualora l’azione dei singoli Stati non venga giudicata sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo. Il quadro delle materie a competenza concorrente è però tutt’altro che limpido, il che creerà negli anni a venire più di un conflitto politico. La cooperazione intergovernativa sugli affari interni porta alla nascita dell’Europol e all’estensione del trattato di Schenghen, inizialmente firmato solo da Francia, Germania e Benelux.
La cooperazione sarà invece più limitata sul fronte diplomatico e la famosa Politica Estera e di Sicurezza Comune (Pesc), nonostante la creazione nel 1999 della figura dell’Alto Rappresentante, rimarrà quasi sempre comune solo su carta. In teoria le decisioni vanno prese all’unanimità. In pratica su diverse questioni si deciderà all’unanimità di decidere a maggioranza qualificata.
Il Parlamento Europeo, quel tallone d'Achille al quale ripartire
Per le competenze del Parlamento Europeo viene stabilita la procedura di codecisione. L’emiciclo di Strasburgo ottiene il potere di approvare gli atti legislativi comunitari insieme al Consiglio, che però finisce per racchiudere in sé sia poteri legislativi che esecutivi. Viene conferito al Parlamento Europeo il potere di dare la fiducia alla Commissione ma non, ad esempio, di sfiduciare un singolo Commissario.
Come sottolineato di recente dal Fondo Monetario Internazionale, l’insufficiente rappresentatività dell’Europarlamento è tra le principali ragioni del “deficit di democrazia” di cui soffrono le istituzioni europee e della crescente disaffezione dell’elettorato. Proprio per questo è da qui che l’Europa potrebbe ripartire per riguadagnare consensi e credibilità, dall’unica istituzione che i cittadini eleggono direttamente e dalla quale, con un aumento delle sue competenze, potrebbero sentirsi davvero rappresentati, iniziando a mandare in pensione il ‘meme’ dell’eurocrate grigio burocrate. A patto di accettare un’ulteriore cessione di sovranità e un’unione che sia davvero politica.