di Francesca Venturi - @fventurist
Bruxelles - Se c'è qualcuno in Europa con cui il governo dovrebbe prendersela per un'interpretazione troppo rigida delle regole del patto di stabilità e crescita, questo non è Jean-Claude Juncker. Il vero ostacolo è rappresentato da alcuni degli altri paesi dell'Unione, che si riuniscono nel Consiglio.
Il giorno dopo lo scontro verbale a distanza fra il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il segretario generale della Confederazione dei sindacati europei, Luca Visentini, torna sull'argomento. Era seduto al fianco di Juncker quando ieri è sbottato contro l'Italia, colpevole di non riconoscere alla Commissione i risultati ottenuti in termini di flessibilità. Friulano, 47 anni, Visentini è alla guida dell'Etuc da poco più di un anno, ma era già il segretario confederale dei sindacati europei dal 2011.
L'occasione di ieri, come spiega in un'intervista all'Agi, era una riunione straordinaria del comitato esecutivo che riunisce i leader dei circa 90 sindacati europei che fanno parte dell'Etuc, fra cui naturalmente anche Cgil, Cisl e Uil, in cui si discuteva del contributo che le parti sociali vogliono dare al processo di Bratislava per delineare il futuro dell'Europa. "Stavamo discutendo del piano Juncker per gli investimenti: chiediamo con forza che non si limiti a stimolare gli investimenti privati ma punti anche a quelli pubblici. E, in parallelo, parlavamo anche della riforma del patto di stabilità e del fiscal compact. Juncker, e anche il commissario Moscovici che ha partecipato all'incontro, hanno detto che per il momento possono concedere il massimo della flessibilità consentita dalle regole vigenti, ma che sono disponibili ad avviare una riforma del patto di stabilità e del fiscal compact per cambiare le regole. Il messaggio implicito delle dichiarazioni di Juncker è "se davvero volete che le regole siano rilassate, dovrete trovare una maggioranza in Consiglio per riformarle".
E i sindacati europei sono d'accordo sulla necessità di riformare le regole economiche Ue?
"Noi crediamo che si dovrebbe tornare a parlare della golden rule per gli investimenti produttivi: con le attuali regole solo quelli per le emergenze vengono scorporati, mentre noi pensiamo a quelli strutturali a lungo termine, come la ristrutturazione antisismica di tutti gli edifici pubblici. Si potrebbe approfittare del fatto che il prossimo anno scade l'accordo intergovernativo sul Fiscal compact, e i paesi devono decidere se ratificarlo così com'è o intervenire per introdurlo nei trattati modificandolo. Secondo noi questo dovrebbe essere parte del processo di Bratislava, e potrebbe essere un buon risultato per il vertice di marzo che Renzi ha programmato a chiusura del processo stesso".
Quali sono le altre proposte dei sindacati europei per contribuire al futuro dell'Europa?
"Oltre alla riforma del patto di stabilità e a un maggiore coinvolgimento degli investimenti pubblici nel piano Juncker chiediamo anche di affrontare quella che è ormai una vera emergenza salari: senza un adeguamento dei livelli salariali, non si rilancia la domanda interna e stiamo lanciando una campagna su questo. Ancora, vogliamo che alle politiche economiche sia affiancato anche il cosiddetto pilastro sociale, che non deve rimanere confinato nel rapporto dei Cinque presidenti (su una migliore Unione economica e moderata, oltre a Juncker partecipano Martin Schulz, Mario Draghi, Donald Tusk e Jeroen Dijsselbloem, ndr) ma deve far parte del processo di Bratislava.
Come sono i rapporti di Etuc con il presidente Juncker
"Costruttivi. C'è da parte sua una comprensione dei problemi sociali e il nostro dialogo è positivo: ha introdotto il concetto di pilastro sociale, ha fatto il piano per gli investimenti e ha una volontà di dialogo: ieri , non ha detto solo la frase che oggi è su tutti i giornali, ma ha risposto per 3 ore a tutte le domande dei nostri leader sindacali, in qualche caso anche molto critiche nei suoi confronti. Per questo dico che il target politico a Bruxelles non deve essere Juncker, ma piuttosto il Consiglio".