Continua l''offensiva' del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, contro l'opposizione interna dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016: stavolta a farne le spese sono stati 928 dipendenti pubblici, licenziati con l'accusa di avere legami con la fondazione di Fethullah Gulen, ritenuto il promotore della sollevazione contro Ankara.
140 mila licenziamenti ordinati dal 'Sultano'
Sono solo gli ultimi di una lunga serie di licenziamenti - oltre 140mila - ordinati dal 'sultano' che hanno colpito centinaia di migliaia di persone nel settore della giustizia, dell'istruzione, tra i giornalisti e nelle file delle forze armate, senza contare gli oltre 50mila arresti. All'inizio di agosto, erano stati rinominati i capi di esercito, aviazione e marina, nel più grande rimpasto dal tentato golpe.
Nella stessa direzione si muove un secondo provvedimento promosso dal governo in base al quale l’intelligence turca, che prima era sotto la responsabilità del primo ministro, d'ora in poi farà riferimento direttamente al capo di Stato. Inoltre, i servizi segreti potranno indagare sul ministero della Difesa e sul personale dell’esercito.
Uscito vittorioso dal referendum di aprile, che ha sancito un deciso rafforzamento dei suoi poteri, il presidente continua sulla sua strada, nonostante le proteste e le critiche che gli vengono rivolte da attivisti per i diritti umani, in patria - sempre meno, avendo tacitato molte voci del dissenso - e all'estero.
Le porte dell'Ue alla Turchia restano sbarrate
Proprio dalla Germania è arrivato di recente il richiamo del ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, che ha ricordato a Erdogan come la strada nell'Ue resterà sbarrata finché si protrarrà il suo atteggiamento anti-democratico. In un'intervista al Bild, il capo della diplomazia di Berlino ha sottolineato come sia "chiaro che in questa situazione, la Turchia non diventerà mai un Paese membro dell'Ue". "Non è perché non li vogliamo - ha spiegato - ma perché la Turchia con Erdogan sta andando velocemente lontano con tutto ciò per cui l'Ue si batte".
La tensione tra Berlino e Ankara ha raggiunto un nuovo livello di guardia di recente dopo che Erdogan aveva invitato la minoranza turca in Germania (circa tre milioni di persone) a boicottare le imminenti elezioni tedesche, per le quali un milione di loro possono votare. In quella stessa occasione, il presidente turco aveva definito i leader tedeschi "nemici della Turchia", suscitando le proteste di Gabriel per l'interferenza nella politica interna della Germania.
Un supremo e intoccabile sovrano della Turchia
Come ricorda il Globe and Mail in un lungo editoriale, "oggi Erdogan è il supremo e intoccabile sovrano della Turchia", citando tra gli esempi il suo messaggio audio registrato che gli utenti dei telefonini sono stati costretti ad ascoltare il 15 luglio scorso, nel primo anniversario del fallito colpo di Stato. Un fallito colpo di Stato che "nell'essenza ha portato a un reale rovesciamento della democrazia stessa da parte di quelle stesse persone".
Sul Washington Post, Nicholas Danforth, analista esperto del Bipartisan Policy Center, ha sostenuto che "l'attuale repressione dei dissidenti, giornalisti e presunti partecipanti del colpo di Stato sembra confermare" che "la democrazia turca e' morta e che il presidente Erdogan è più al potere che mai".
Tuttavia, ha aggiunto, "sarebbe un errore pensare che il destino della Turchia sia una soffocante quanto stabile forma di autoritarismo civile. La frammentazione delle istituzioni come le forze armate, insieme all'erosione della legittimità democratica di Erdogan e l'assalto contro la democrazia parlamentare hanno lasciato il Paese impreparato per gli shock che probabilmente affronterà nell'anno a venire. Se questa situazione nel Paese sfuggirà al controllo, il risultato potrebbe facilmente essere violenza e caos piuttosto che la resurrezione della democrazia".