Sono giorni di tensione tra Roma e Parigi, in quel che appare un vero e proprio braccio di ferro sulla vicenda Fincantieri e Stx France. Una tensione diplomatica che è anche coincisa con l’attivismo del presidente francese Emmanuel Macron sullo scenario libico, sia con la firma dell’accordo tripartito che con la proposta lampo di hotspot direttamente in territorio libico per arginare l’immigrazione verso l’Europa e rafforzare la sicurezza. Tutte sfide comuni a Francia, Italia e Europa analizzate in chiave geopolitica da Jean-Pierre Darnis, Direttore del Programma Sicurezza, Difesa e Spazio dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) e Professore associato all’Università di Nizza Sophia Antipolis.
Intesa a tre sulla Libia firmata a Parigi, proposte di interventi in loco per fermare i flussi migratori. Professore come leggere l’attivismo del presidente Emmanuel Macron?
La presidenza Macron è molto attivista in generale. E’ un presidente molto giovane che usa a pieno tutti i suoi poteri. E lo fa anche in politica estera.Il primo viaggio in Africa dal suo insediamento lo ha fatto in Mali, individuando nella stabilità dell’intera regione del Sahel fino al Nord Africa una priorità strategica nella lotta al terrorismo. Su questo fronte, Macron sta procedendo seguendo la linea delle precedenti amministrazioni francesi.
La scorsa settimana la firma dell’accordo a tre a Parigi con i due contendenti del conflitto libico, il generale Khalifa Belqasim Haftar e Fayez al-Sarraj, è stata accolta con stupore in Italia, e anche con un certo fastidio. Per capire la mossa di Macron sulla Libia bisogna tornare indietro di qualche settimana. Più volte il presidente francese è stato tirato in ballo da Paolo Gentiloni sulle questioni migratorie. Un problema sollevato dal premier italiano in vari incontri europei, come ad esempio al Summit dei Balcani a Trieste, chiedendo di “non essere lasciati da soli”. C’è chi si illudeva che Macron avrebbe aperto i porti, ma essendo stato eletto nelle circostanze che ben conosciamo, il presidente francese deve stare attento alle correnti nazionaliste e populiste che si trova in casa. L’inquilino dell’Eliseo ha quindi tradotto a modo suo la richiesta di sostegno da parte del partner italiano.
Lo scorso 14 luglio, in una lunga intervista ufficiale pubblicata sul giornale “Ouest France”, il presidente francese aveva esplicitamente annunciato che “entro poche settimane prenderemo un’iniziativa diplomatica sulla Libia”. A questa intervista non è stata prestata alcuna attenzione in Italia. Nei fatti, il 25 luglio, Macron ha fatto quello che aveva annunciato pochi giorni prima, portando i due contendenti a firmare un accordo, ben sapendo che in Libia la Francia ha giocato sui due fronti.
Negli stessi giorni si sono incrociate le vicende Libia e Stx France, generando un vero e proprio misunderstanding tra Francia e Italia, anche sulla Libia. Sui media italiani si è scatenata una vera e propria campagna anti francese. Il presidente Macron ha chiamato il Premier Gentiloni, ringraziandolo per l’impegno italiano in Libia, e negli ultimi giorni ben cinque ministri francesi sono venuti in visita ufficiale a Roma, mai vista una cosa simile prima.
E’ doveroso precisare che sul versante delle relazioni bilaterali, per la Francia la Libia non rappresenta molto. Invece per l’Italia, sia per ragioni storiche legate al periodo coloniale sia per la questione politica dei flussi migratori, la Libia rappresenta un nervo scoperto, una questione sulla quale Roma è molto sensibile.
Guardando oltre le tensioni diplomatiche degli ultimi giorni tra Parigi e Roma, credo si possa avere una lettura positiva dei rapporti tra i due Paesi sulla sfida libica. L’attivismo dell’Italia in questo ultimo periodo – con l’approvazione da parte del parlamento italiano dell’invio di navi italiane a sostegno della guardia costiera libica – è in parte da ricollegare all’attivismo francese che ha spronato Roma. L’Italia aveva già valutato alcuni interventi, alcune soluzioni senza aver avuto la forza o la possibilità di attuarle. Con un grosso lavoro tra le parti si potranno registrare passi avanti positivi per rispondere alla sfida della Libia, ma non solo. Ormai la dinamica Parigi-Roma sulla Libia è stata attivata. I francesi hanno una visione di sicurezza dell’intera zona, per cui la Libia fa parte del Sahel.
Proprio la caduta di Gheddafi e il conflitto in Libia hanno fatto precipitare la regione del Sahel nella totale insicurezza. In materia di lotta al terrorismo come si sta posizionando Macron?
In continuità con i suoi predecessori, anche per il presidente Macron la lotta al terrorismo è molto importante. La Francia da due anni è stata molto colpita dal terrorismo quindi le autorità sono molto vigili e consapevoli che i terroristi di seconda o terza generazione sono una dinamica sociale profondamente radicata. Per i prossimi 10-15 anni il Paese dovrà vivere con questa minaccia. Ben diversa la posizione dell’Italia che non è esposta allo stesso livello di pericolosità, fatta eccezione di alcuni ambienti – tra cui quelli ceceni – guardati con attenzione dal Viminale.
Poi in questo momento storico, con l’Isis che sta indietreggiando e perdendo le sue basi territoriali in Iraq e Siria, c’è una maggiore attenzione verso quelli che potrebbero diventare dei mini califfati a sud dell’Europa, potenziali basi di reclutamento.
Anche su questo fronte l’attivismo di Macron può essere un’opportunità per l’Italia. Lotta ai gruppi terroristi, ai trafficanti di migranti e gestione dei flussi migratori sono questioni strettamente legate. Al di là di rivalità ‘storiche’ e incomprensioni – ad esempio quando Parigi non comunica le sue decisioni nei modi voluti dall’Italia – gli obiettivi strategici tra Parigi e Roma sono molto convergenti.
Come lo abbiamo visto sulla Libia, l’Italia può trovare nella Francia una dialettica per definire interventi sul campo. Insieme poi possono impugnare il livello europeo.
Anche in altri scenari la Francia chiede da tempo un impegno diretto dell’Italia, a cominciare dal Niger, dove Parigi ha dispiegato delle truppe nella base settentrionale di Madama. Dopo un’operazione militare in Mali (Serval e Epervier, ndr), il 1 agosto 2014 la Francia ha lanciato l’operazione Barkhane di contrasto al terrorismo in cinque paesi del Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina-Faso, ndr). Non più di 3000 militari che con operazioni sporadiche cercano di tenere a bada i gruppi armati, in un territorio esteso almeno tre o quattro volte l’Europa, e nel quale la Francia non la fa da padrona….
Sullo scenario del Sahel/Sahara e africano in generale possono conciliarsi lo stile Macron e quello della diplomazia italiana?
Sulla Libia così come sul Sahel e in generale la politica di Parigi in Africa, magari a volte il presidente francese parla troppo, propone soluzioni non sempre ben pensate alle quali vanno integrati aspetti giuridici e di sicurezza. Ma non tutto quello che dice è negativo.
Anche sullo scenario africano ci sono interessi convergenti tra Francia e Italia e in prospettiva enormi spazi di collaborazione da percorrere.
Storicamente la presenza della Francia è più radicata e diffusa rispetto a quella italiana, con interessi economici significativi e negli ultimi anni con un approccio sempre più concentrato sulla sicurezza, di fatto necessaria.
Il presidente Macron ha una visione molto pragmatica e realistica della sicurezza nel Sahel Sahara e della politica da attuare per il controllo dei territori. La Francia da sola in quello scenario, come ho già accennato, non può farcela. Il G5 Sahel ha già fatto il piedino a Germania, Italia e Unione europea. Parigi ha bisogno del sostegno dei partner europei sia in termini di finanziamenti che di forze sul terreno e di addestramento delle truppe. La Germania ha risposto all’appello della Francia: militarmente è sempre più presente in Mali. Un impegno ben visto dal partner francese che nell’ultimo periodo ha portato al rafforzamento del collegamento tra Parigi e Berlino.
L’Italia invece, con la presenza vaticana, la rete di missionari e di Ong è molto attiva in materia di cooperazione e sviluppo. L’approccio al continente sta cambiando in modo positivo, come dimostrato dalle visite dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e del capo dello Stato Sergio Mattarella che si sono recati più volte in Africa, o ancora la nomina a vice-ministro degli Esteri di Mario Giro, proveniente dalla Comunità di Sant’Egidio, con alle spalle una lunga expertise del continente. Poi sono significativamente aumentati gli investimenti italiani in Africa.
In questa dinamica possono crescere ampi scambi tra Parigi e Roma, di dialogo e azioni comuni bilaterali da portare a un livello europeo.
In Africa sono stati creati comitati di #enmarche a sostegno di Macron. Due mesi dopo il suo insediamento all’Eliseo è ancora luna di miele tra il presidente e il continente africano?
Il discorso riformista di Macron contro la corruzione e a favore dello sviluppo dell’economia africana da startup 3.0 è piaciuto molto a una nuova generazione di leader politici africani e franco-africani. Per citarne uno: l’economista Lionel Zinsou, ex primo ministro del Benin, molto vicino a Macron e alla sua visione di un’Africa tecnologicamente sempre più sviluppata.
Durante la sua visita a Gao (nord Mali) lo scorso 2 luglio, davanti al presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita, Macron ha dichiarato che: “Non possiamo più tollerare lo sperpero di denaro e saremo attenti anche a questo”. Il suo intervento diretto sulla corruzione ha anche suscitato reazioni avverse in Africa, ma non solo. Alcuni intellettuali africani lo hanno accusato di neo colonialismo, sottolineando che la Francia non può continuare ad imporsi, a dire la sua sull’Africa 55 anni dopo le indipendenze. In realtà corruzione e nepotismo sono stati per tantissimi anni l’essenza del post-colonialismo, quindi voler la loro fine è un segnale che va in tutt’altra direzione. Del resto la rottura di questo modello post-coloniale era già cominciata sotto la presidenza di Hollande. Sulla critica di sostenere alcuni capi di stato longevi e contestati, si può rispondere che ad esempio nel caso del presidente del Ciad Idris Deby Itno (ricevuto di recente all’Eliseo, ndr), Macron deve scendere a compromessi per motivi operativi e strategici di lotta al terrorismo nel contesto del G5 Sahel, di cui il Ciad fa parte.
Lotta al terrorismo, sicurezza e immigrazione: molte delle sfide odierne hanno una dimensione europea. Anche sul vecchio continente cambiano equilibri e dinamiche…
Sin dalla campagna elettorale e poi dal suo insediamento alla presidenza Macron vuole rilanciare un’Europa attiva, dopo un periodo precedente segnato da un certo immobilismo. In qualche modo sta disturbando le abitudini precedenti e a volte lo fa anche in modo brusco o non proprio ottimale.
Dopo la Brexit, lo storico sbilanciamento dell’Italia verso la Gran Bretagna è da parte. Di fatto sono rimasti due approdi per Roma: Francia e Germania. L’Italia deve operare una riconfigurazione della sua azione europea per adeguarsi alle nuove dinamiche, una sfida non semplice.
In questo contesto bisogna aver presente che se da un lato Macron deve tener conto degli interessi nazionali francesi, dall’altro non ha alcune interesse a vedere i populisti vincere elezioni in Italia e imporsi in Europa poiché potrebbero bloccare le sue riforme europee.