In un clima di crescente contestazione nei confronti del presidente Evo Morales, in lizza per il quarto mandato consecutivo, domenica i boliviani andranno alle urne per eleggere il presidente della Repubblica e il suo vice, 130 deputati e 36 senatori. Morales rimane molto popolare nelle aree rurali e tra i poveri. Ma il suo rivale ed ex presidente Carlos Mesa è il favorito dell'alta borghesia. I sondaggi lo danno vincitore, ma potrebbe essere necessario un secondo turno il 15 dicembre per decidere tra di loro. E Morales ha messo in guardia da un possibile colpo di stato - preparato, sostiene, dalla destra - nel caso in cui vinca le elezioni.
Il voto di di domenica si preannuncia come il più difficile per il primo presidente indigeno del continente e il suo Movimiento Al Socialismo (MAS). La campagna elettorale è stata segnata da violenze a margine di comizi di Morales, alimentate da boliviani che contestano sempre di più il presidente in carica da 14 anni. Sulla carta è in netto vantaggio, accreditato del 40% delle intenzioni di voto, ma comunque in netto calo rispetto al consenso medio ottenuto finora, oltre il 60%.
La crescente insofferenza nei suoi confronti potrebbe ripercuotersi sulle urne: per la prima volta Morales, 60 anni il 26 ottobre, rischia di andare al ballottaggio assieme al suo vice, Alvaro Garcia Linera. Non è chiaro se domenica riuscirà a raggiungere il 50 per cento più uno dei voti, o almeno il 40 per cento con un vantaggio di dieci punti sul secondo classificato, l'ex presidente Carlos Mesa (2003-2005), leader del fronte Comunidad Ciudadana (CC), tra il 22 e il 27% delle preferenze.
Un'opposizione divisa
Le elezioni di domenica potrebbero quindi aprire la strada ad un testa a testa con il suo principale contendente, che definisce la candidatura di Morales incostituzionale e illegittima. L'opposizione della Comunidad Ciudadana, in lizza con due candidati, è divisa: una situazione che dovrebbe giovare al presidente uscente, intento a chiudere la partita al primo turno, facendo leva sul consenso di cui gode nelle aree rurali.
Tra gli altri 7 candidati alle presidenziali quelli più in vista sono il senatore di destra Oscar Ortiz dell'Alleanza Bolivia Dice No (BDN), al 10% delle intenzioni di voto, e al quarto posto (al 6%) l'ultraconservatore Leopoldo Chi Hyun Chung, pastore evangelico di origine coreana naturalizzato boliviano, in lotta contro le minoranze sessuali. Gli altri cinque contendenti non superano il 3% dei consensi mentre gli elettori indecisi sono circa il 10%. La stessa incertezza vale anche per le legislative: non è chiaro se in caso di vittoria alla presidenza Morales riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento, che finora gli ha permesso di far approvare tutti i suoi provvedimenti.
Come si è offuscata la stella di Evo
Le tre vittorie consecutive di Morales alle presidenziali sono da ricollegare alle performance economiche conseguite: crescita del 4,6% tra il 2006 e il 2014, surplus fiscale, calo dell'inflazione, bilancia commerciale in attivo, aumento delle riserve internazionali. Sotto la sua presidenza lo Stato ha assunto un ruolo sempre più importante nell'economia, controllando risorse e profitti nel settore delle materie prime. L'industria degli idrocarburi è stata nazionalizzata e i profitti realizzati sono stati reinvestiti in politiche di redistribuzione della ricchezza, per l'istruzione e la sanità pubblica.
In realtà è dal 2016 che i cittadini esprimono dissenso verso il capo dello Stato. Al referendum di 3 anni fa hanno detto "no" ad una sua quarta candidatura alle presidenziali, ma Morales, che non ha accettato l'esito del voto, ha poi ottenuto una decisione favorevole dal Tribunale supremo elettorale, che gli ha dato il 'via libera'. Oltre cento persone hanno avviato uno sciopero della fame contro la sentenza del tribunale che considerano illegittima.
In un clima di crescente tensione socio-politica Morales - da 17 anni assente al dibattito televisivo elettorale - ha affermato che gruppi di oppositori progettano un colpo di stato in caso di una sua vittoria, riferendosi alle assemblee civiche ('cabildos'). Riunite la settimana scorsa in diverse città del paese, queste assemblee hanno annunciato che "non voteranno candidati che non siano legittimati dalla Costituzione", considerando la candidatura di Morales come illegittima. Il capo dello Stato le ha definite "piccoli gruppi che cercano di impedire il processo di cambiamento", accusando il coinvolgimento delle forze di destra che "non vogliono l'industrializzazione".
In un messaggio alla nazione, i vescovi della Bolivia hanno chiesto "elezioni limpide" e non manipolate, nell'ottica della costruzione di una "democrazia autentica". La Conferenza episcopale boliviana (Ceb) ha invitato ad "un voto consapevole" rispetto alle "necessità reali" del Paese, "dei suoi problemi, delle sue potenzialitaà. I vescovi hanno riferito di un "clima di sfiducia a causa del timore di una possibile manipolazione del voto", ribadendo la necessità di garantire ai cittadini la possibilità di "esercitare il proprio dovere e diritto, senza alcuna pressione politica, sociale o economica". Un eventuale ballottaggio è previsto per il 15 dicembre.