In Egitto è in corso un dibattito sulla possibilità di proibire il popolare videogioco “Battlegrounds of PlayerUnknow” (PUBG), che ha ricevuto una fatwa che lo ha dichiarato “haram”. Il capo del comitato parlamentare per la comunicazione e le tecnologie informatiche, Ahmed Badawy, insieme a molti altri parlamentari ha già chiesto lo scorso novembre che il videogioco online venisse vietato. Allo stesso modo Al-Azhar, la massima autorità islamica egiziana, ha dichiarato il videogioco “haram” ed esortato i genitori e gli insegnanti a tenere i giovani lontano da esso.
La polemica arriva sulla scia di una dichiarazione del ministero dell’Interno rilasciata lo scorso 25 novembre secondo cui un’insegnante sarebbe stata uccisa da uno studente perché gli aveva proibito di giocare in classe a PUBG. Alcuni articoli hanno riportato che il 16enne avrebbe impersonato il suo personaggio del videogioco nel mettere in pratica l’omicidio, ma questa vicenda non è al momento stata confermata.
Il crimine ha causato preoccupazioni negli ambienti pedagogici e politici, e secondo Badawy PUBS farebbe parte della cosiddetta “guerra di quarta generazione nella regione araba”. Questa locuzione è stata usata spesso a partire dal 2011 dagli esperti di sicurezza egiziani, e fa riferimento ai metodi non militari con cui l’occidente è presente nell’area, come la cultura o i media, con l’obiettivo di destabilizzare la società.
Secondo quanto reso noto dall’associazione degli editori audio, video e digitali cinesi, PUBG è stato bandito in Cina lo scorso 12 dicembre perché la mentalità del gioco “si scorsa dai valori del socialismo ed è considerato dannoso per i giovani consumatori”.
Il videogioco è una grande battaglia multiplayer in cui 100 giocatori vengono paracadutati su un’isola dove cercano di sopravvivere. L’isola con il tempo si restringe sempre di più costringendo i giocatori ad affrontarsi e uccidersi a vicenda: vince l’ultimo combattente che rimane in vita.