Il 13 luglio la We Work, forse la più importante società che fornisce spazi di co-working in particolare per startup riguardanti il campo dell’innovazione, che ha sede a New York, ha cominciato la propria battaglia contro i carnivori. Sarà vietata la vendita di carne rossa durante tutti gli eventi aziendali e nei chioschi interni alle sue filiali. In più non saranno rimborsati pasti di lavoro ai suoi 6000 dipendenti che includono la carne. Una battaglia, c’è da dirlo, che comincia, nonostante le apparenze che in Italia basterebbero per scendere in piazza e scioperare per mesi, in maniera piuttosto pacata. Non sarà una dieta vegetariana infatti, perché saranno ammessi pesce e uova, ma solo contro la carne rossa. Una carne rossa che, come ha scritto il Washington Post il 30 giugno, "è orribile e sta distruggendo il pianeta".
Come possono i nostri barbecue distruggere il pianeta? Beh We Work si è fatta due conti e ci ha dato una risposta abbastanza stupefacente, infatti con questa nuova scelta la società, per bocca del suo co-fondatore e responsabile della cultura, Miguel McKelvey, prevede di risparmiare 445 milioni di libbre di emissioni di anidride carbonica, oltre 16 miliardi di galloni d'acqua e la vita di 15.507.103 animali entro il 2023. Numeri stratosferici che fanno venire il dubbio effettivamente su quanto male a noi, ma soprattutto al pianeta possiamo fare con un uso sconsiderato del maiale, quell’animale che Homer Simpson, a ben ragione definisce “magico”.
Secondo Virginia Postrel di Bloomberg, la scelta della società non avrebbe niente a che fare con la salvaguardia delle risorse naturali del pianeta ma rappresenterebbe quello che in America chiamano “team-building”, un esercizio di lavoro sul marchio, renderlo riconoscibile anche attraverso questo genere di scelte, che ripeto, risultano alla fin fine particolari dato che il pesce non è certo un animale meno simpatico e quindi più sacrificabile.
Parte della battaglia che in America è in atto per sensibilizzare il popolo che ha inventato il fast-food e regna incontrastato il mondo del cibo spazzatura, è raccontato in uno splendido romanzo del 2009 di uno scrittore tra i più talentuosi al mondo, Jonathan Safran Foer, dal titolo (italiano) “Se niente importa”, forse il romanzo sulla questione più bello e sensibile mai stato scritto. Oggi quel libro diventa un documentario, già presentato con enorme successo al Sundance, e lo scrittore ormai diventato un’icona della battaglia, a Entertainment Weekly parla degli enormi passi in avanti che sta facendo il suo paese negli ultimi anni arrivando a dire che “Ormai nei college americani ci sono più vegetariani che cattolici”.
Sull’argomento è intervenuto anche una firma dell’Huffington Post americano, Andy McDonald dicendo che si, è vero, la battaglia sta andando avanti ma che i ragazzi dei college non sono un buon campione per rappresentare gli Stati Uniti, dove comunque 46,5 milioni di persone vivono in stato di povertà, 22 milioni percepiscono uno stipendio da fame e una persona su sei non sa svegliandosi la mattina se riuscirà a mettere qualcosa tra i denti. "Queste persone – dice McDonald - non hanno necessariamente il lusso di preoccuparsi della provenienza del loro cibo, o cosa c'è dentro, o di come sarà stato confezionato e prodotto. La loro preoccupazione più pressante è: riusciremo a procurarcelo?”.
È possibile una dieta etica per tutti?
Ma la domanda vera è: è possibile vivere in un mondo che mantenga una dieta totalmente etica? La risposta sembrerebbe essere no. E ci sono diversi studi che lo dicono. Per far si che i mercati vengano anche solo sfiorati da una simile scelta bisognerebbe che la decisione di cambiare dieta e salvaguardare i nostri amici dalla carne rossa, fosse praticamente globale. Il potere d’acquisto individuale è una scelta che resta individuale ma non scalfisce minimamente i mercati. In pratica è il sistema a dover mutare, la nostra dieta non conta nulla.
Certo, come scrive Ephrat Livni su Quartz, bisognerebbe porsi il dilemma etico giornalmente, ma è anche vero che la situazione che si viene a creare dipende essenzialmente dalla posizione privilegiata che viviamo noi esseri umani come specie. Per esempio, se fossimo costretti a scegliere se morire di fame o mangiare uno dei nostri animali domestici, cosa faremmo? Probabilmente imboccheremmo il tunnel senza porci grandi problemi. Ma se noi fossimo cadaveri e la scelta spettasse ai nostri animali domestici, cosa accadrebbe? Probabilmente verremmo mangiati. Ciò che fa la differenza tra noi e gli animali, tutti, compresi quelli nostri domestici, è che noi abbiamo la possibilità di scegliere se essere vegetariani o meno. Loro no. Questo ci mette nelle condizioni di essere ricattati dalla nostra coscienza superiore in quanto esseri umani quasi sempre coscienti delle nostre azioni.
Persino l’evoluzione del buddhismo in salsa vegetariana è una specie di mito, dato che il saggio Buddha non ha mai dato indicazioni in questo senso, lui chiedeva ai suoi monaci di rifiutare la carne di animali uccisi appositamente per loro, che è un’altra cosa. Anche il Dalai Lama ha confessato di essere costretto a mangiare carne per ordine del medico, e immaginiamo la sua anima resta comunque intaccata dal peccato.
C’è una storia, molto interessante e utile per farci un’idea ben precisa di come approcciarci in maniera filosoficamente corretta alla questione, ed è quella del maestro e poeta zen giapponese Ryokan Taigu, che visse dal 1758 al 1831. Era un umile eremita che viveva una vita semplice e mostrava estrema compassione. Secondo la tradizione Zen, il poeta dormiva con una gamba fuori da una zanzariera, offrendo il suo sangue a insetti affamati. Taigu non si faceva problemi a mangiare il pesce e quando un altro monaco gli chiese conto e ragione della sua scelta lui rispose semplicemente: “Mangio il pesce quando viene offerto, ma anche le pulci e le zanzare mi si nutrono”.