Soia, grano, mais, cotone, sorgo, tabacco e carne bovina. Sono alcuni dei 106 prodotti statunitensi su cui il ministero del Commercio di Pechino ha annunciato tariffe fino al 25% in rappresaglia ai dazi proposti da Washington sui prodotti tecnologici cinesi, in aggiunta ai 128 ufficializzati domenica scorsa.
In totale, secondo i calcoli della Cina, verranno colpite merci per un totale di cinquanta miliardi di dollari (un terzo dei 130 miliardi di dollari che la Cina importa dalla prima economia mondiale): lo stesso ammontare della lista pubblicata ieri dallo Us Trade Representative. Nel mirino anche il settore automobilistico (Tesla trema), l’aeronautico (Boeing ha già perso oltre 5%), il chimico.
La decisione di Pechino ha già fatto sentire la sua eco sui mercati e sui gruppi direttamente interessati dalle tariffe proposte oggi dal Consiglio di Stato. Le tensioni commerciali sono soprattutto i produttori di semi di soia statunitensi.
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Il direttore per la Cina dello Us Soybean Export Council, Zhang Xiaoping, ha definito “spiacevole” l’inclusione del prodotto nella lista, e all’agenzia Reuters ha sottolineato che i produttori si aspettavano questo risultato, nonostante abbiano fatto di tutto per “evitarlo”.
La Cina è il primo importatore dagli Usa di questo prodotto: gli Stati Uniti l’anno scorso hanno esportato 12,4 miliardi di semi di soia, stando ai dati del dipartimento per l’Agricoltura statunitense. L’imposizione di dazi, oltre a colpire i produttori americani, potrebbe avere ripercussioni anche sui consumatori cinesi: dalle tariffe potrebbe derivare un ammanco di semi di soia sul mercato interno cinese stimato in dieci milioni di tonnellate dagli esperti dell’associazione di categoria, lo Us Soybean Export Council.
Alla Borsa delle Merci di Chicago, i futures sulla soia con consegna a maggio sono crollati del 4,3%, scivolando a 9,93 dollari a staio.
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L’ambasciatore Usa a Pechino, Terry Branstad, ex governatore dell’Iowa (fu lui ad accogliere Xi Jinping in visita nello stato americano nel 2012), il mese scorso aveva scongiurato i rischi di una ritorsione contro l’importazione dei semi oleosi, alla luce dei possibili danni sui consumatori cinesi. I semi di soia sono il principale alimento dei suini di cui la Cina è il maggior produttore e consumatore: un aumento del prezzo della soia derivante dai dazi inciderebbe sul prezzo della carne di maiale. Mentre un terzo della produzione americana viene assorbita dai mercati asiatici, la Cina l’anno scorso ha incrementato le importazioni dei semi oleosi dal Brasile, che “si sta leccando i baffi”, ha detto a Bloomberg Warren Patterson della Dutch bank ING Groep NV.
I maggiori produttori di soia sono gli Stati dell’Illinois, Iowa, Minnesota, Indiana, Nebraska, Ohio. “La replica con ritorsioni della Cina ha sia un peso economico che politico giacché i maggiori produttori agricoli sono gli Stati che hanno sostenuto l’elezione di Donald Trump”, ha detto a Bloomberg Monica Tu, analista di Shanghai JC Intelligence Co. Colpito il Midwest, la base elettorale del presidente americano, già nel mirino per i dazi sulla carne di maiale.
La Cina importa l’80% del sorgo prodotto negli Stati Uniti, per un valore di 957 milioni di dollari. Pechino aveva aperto una indagine anti-dumping sul settore agricolo a febbraio scorso, due settimane prima l’annuncio di Trump dei dazi su acciaio e alluminio. La Cina è il principale mercato anche per il cotone (5,8 miliardi esportati l’anno scorso), subito dopo il Vietnam. Ammonta invece a 740 miliardi il totale delle importazioni di mais, grano e tabacco. Dati sull’importazione di carne bovina non sono disponibili giacché la Cina ha rimosso l’anno scorso il bando sulle importazioni del prodotto, in vigore dal 2003 dopo il caso della mucca pazza.
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“Non siamo in una guerra commerciale con la Cina”, ha twittato Donald Trump. “Quando sei già sotto di 500 miliardi di dollari, non puoi perdere!”, ha scritto in un secondo tweet l’inquilino della Casa Bianca, accusando la Cina di alimentare il deficit commerciale con gli Usa (375 miliardi). A minimizzare gli effetti delle contromisure varate da Pechino, è stato, invece, il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross. Le tariffe che verranno applicate dalla Cina su 106 prodotti di importazione statunitense, ha dichiarato ai microfoni del programma Squawk Box, trasmesso dall’emittente Cnbc, “ammontano a circa lo 0,3% del nostro prodotto interno lordo. Difficilmente”, ha aggiunto, “saranno una attività che mette in pericolo di vita l’economia".
La Cina ha ribattuto a poche ore di distanza alla lista dello Us Trade Representative di oltre 1300 prodotti tecnologici cinesi importati che saranno soggetti a dazi fino al 25%. Pechino aveva espresso “forte condanna” e “ferma opposizione” alla decisione di Washington già nella mattina di oggi, promettendo ritorsioni “di eguale portata” che sono arrivate nel pomeriggio, ora locale. Oltre alla ritorsione diretta nei confronti degli Stati Uniti, Pechino ha poi anche presentato ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per dirimere la disputa sui dazi approvati dagli Stati Uniti sulle importazioni di prodotti tecnologici dalla Cina.
La Cina non vuole una guerra commerciale, ha ribadito oggi il vice ministro del Commercio cinese, Wang Shouwen, ma “se si vuole combattere una guerra commerciale, noi ci saremo. Se si vuole negoziare, la porta è aperta”. La Cina non ha mai ceduto a “pressioni esterne” nel corso della sua storia e rimane “un investitore responsabile”, ha dichiarato invece il vice ministro delle Finanze, Zhu Guangyao, sull'ipotesi che Pechino possa far leva sul debito pubblico, di cui è principale detentore.
Zhu ha aggiunto che la messa in atto dei dazi dipende dall’esito delle trattative con Washington.
@ASpalletta