Il presidente americano Donald Trump aveva pubblicamente sospettato che dietro all’atteggiamento aggressivo del leader nord-coreano Kim Jong-un ci fosse l’influenza del presidente cinese Xi Jinping. Il dubbio era che Xi, durante il secondo vertice a sorpresa con Kim, lo avesse esortato a fare un passo indietro per ottenere concessioni più ampie sui delicati negoziati commerciali in corso con gli Usa, e per scongiurare un processo di pace sotto l’egida americana. “Una tesi infondata e illogica”, dice all’Agi Francesco Sisci, studioso dell'Accademia delle Scienze sociali di Pechino. “La Cina, stretta tra due fuochi, vuole uscire dall’incubo nord-coreano. Per quale motivo avrebbe ostacolato il vertice di Singapore?”.
Mentre l'inquilino della Casa Bianca torna a rilanciare la possibilità di un vertice con il leader nord-coreano, dopo le aperture arrivate nella notte da Pyongyang che si è detta ancora "disponibile" al dialogo, Pechino chiede alla Corea del Nord di "mostrare buona volontà". Quello che appare sempre più evidente è che i negoziati commerciali sono intrecciati a doppio filo alla questione coreana.
La Camera dei rappresentanti ha approvato giovedì 25 maggio il bando sulle vendite di componenti a Zte decise dagli Usa per motivi di sicurezza; una mossa che allontana la soluzione sul caso del colosso cinese delle telecomunicazioni, accusato di aver venduto tecnologia all’Iran e alla Corea del Nord. La riabilitazione di Zte, sempre più incerta, era tra i punti della bozza di accordo emersa dal secondo round di colloqui sul commercio, che si sono tenuti a Washington: una tregua sfociata nella distensione dei dazi.
Il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, annuncia la missione in Cina dal 2 al 4 giugno prossimo, ma per Sisci la vera vittima di questo “pasticcio coreano” è la relazione tra Pechino e Washington. “Un miglioramento della situazione coreana porterebbe non solo a una riconciliazione tra le due Coree ma anche a un riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti. Invece oggi la distanza sino-americana rischia di allargarsi”, dice Sisci. Crescono le tensioni anche nel Mar cinese meridionale dopo che il Pentagono ha annullato l’invito della Cina a partecipare alle esercitazioni navali.
I sospetti americani sull'ombra di Pechino mostrano due elementi: “Primo, gli Stati Uniti non si fidano più della Cina; secondo, Pechino è stata incapace in questi mesi di conquistare la fiducia americana”.
Non si tratta tuttavia di errori di breve periodo: siamo di fronte a distorsioni di lungo periodo. “La Cina ha vissuto per 40 anni di credito americano”, elabora Sisci. “Gli Usa hanno aiutato la crescita cinese con la speranza che diventasse liberale e democratica, e il mondo occidentale ha per lungo tempo alimentato la tesi del collasso del Partito Comunista Cinese”. Nessuno dei due scenari si è verificato. Oggi i nodi sono venuti al pettine. “Se la Cina continua a crescere di questo passo, nei prossimi 5-10 anni diventerà la prima economia del mondo, rivoluzionando gli equilibri geopolitici”.
Sisci esclude scenari da Guerra Fredda: la Cina non lancia una sfida intenzionale all’egemonia americana. Ma la minaccia cinese è nei fatti: “Pechino non è innocente, ha un atteggiamento colposo seppur non doloso”.
“Per quale motivi i cinesi, dopo aver raggiunto una tregua commerciale con gli Stati Uniti, avrebbero dovuto far saltare i negoziati tra Trump e Kim?”, si chiede Sisci. La Cina aveva negato di aver ceduto alla richiesta americana di tagliare 200 miliardi di deficit, ma nel comunicato congiunto si afferma che le due parti si impegnano a ridurlo in modo sostanziale, pur senza specificare di quanto. "Se fosse confermato l'annullamento dello storico incontro tra Trump e Kim, non ci saranno ripercussioni immediate sulle dispute commerciali tra Cina e Stati Uniti”. Un ritorno delle tensioni potrebbe esserci dopo le elezioni mid-term, che determineranno il futuro politico del presidente americano.