Un anno fa passeggiavano fianco a fianco nei giardini di Mar-a-Lago, oggi sono di nuovo sulle barricate. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il presidente cinese, Xi Jinping, si incontrarono il 6 aprile scorso, per la prima volta, nella tenuta in Florida di Trump e, con le rispettive mogli, posarono davanti all’ingresso a beneficio dei fotografi. L’immagine del quartetto occupava quasi un’intera parete della mostra dedicata al primo quinquennio di Xi al vertice del Partito Comunista Cinese, alla Beijing Exhibition Hall: l’incontro informale tra Trump e Xi avrebbe dovuto sancire la fine delle tensioni tra Pechino e l’imprevedibile presidente Usa, dopo il gelo su Taiwan, cominciato già prima che il tycoon si insediasse alla Casa Bianca. L’idillio durò poco, e oggi sembra completamente scomparso: la Cina, ha dichiarato il Ministero del Commercio in una nota, risponderà “fino alla fine” e “a ogni costo” all’offensiva del presidente Usa sui dazi.
Un primo segnale di cedimento nell’intesa raggiunta in Florida era apparso già a luglio scorso, a Washington, in occasione del Dialogo Economico Complessivo tra i due Paesi: i rappresentanti di Cina e Stati Uniti non erano riusciti a produrre un comunicato congiunto rispetto alle frizioni commerciali che dividevano allora, e dividono oggi più che mai, le prime due economie del pianeta. Al termine dei lavori non si era tenuta neppure una conferenza stampa congiunta. Ad agosto, dopo le indiscrezioni comparse sulla stampa americana, il presidente Usa ha dato il via alle indagini per violazioni alla proprietà intellettuale a danno delle imprese statunitensi in base alla sezione 301dello Us Trade Act, un’arma a cui le amministrazioni statunitensi non avevano fatto ricorso dal 1995, e che dà il potere allo Us Trade Representative di condurre indagini e infliggere sanzioni alle imprese straniere.
L’escalation sul commercio è cominciata, però, solo nelle scorse settimane. L’8 marzo scorso, Trump ha annunciato dazi del 10% sulle importazioni di acciaio e del 25% sulle importazioni di alluminio, da cui successivamente sono stati esentati diversi Paesi, ma non la Cina. Pechino, aveva dichiarato il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in caso di guerra commerciale avrebbe prodotto una risposta “legittima e necessaria” per difendere i propri interessi contro il protezionismo di Washington: la prima risposta concreta è arrivata il 2 aprile scorso, quando il Consiglio di Stato ha diffuso una lista di 128 prodotti importati dagli Usa, in gran parte del settore agro-alimentare, a cominciare dalla frutta, dal vino e dalla carne di maiale, che saranno soggetti a tariffe fino al 25%, per riequilibrare le perdite derivanti dai dazi su acciaiato e alluminio.
Il colpo più duro da parte dell’amministrazione Trump è arrivato l'indomani, con la pubblicazione della lista di 1333 prodotti di importazione cinese, in grandissima parte del settore tecnologico, che potranno essere soggetti a dazi del 25%, per un valore complessivo di merci che si aggira attorno ai 50 miliardi di dollari. Undici ore più tardi, il 4 aprile, Pechino ha pubblicato una sua lista di 106 prodotti made in Usa, tra cui tutte le principali voci di importazioni, che saranno soggetti a tariffe fino al 25%, per un valore complessivo di merci di circa cinquanta miliardi di dollari. “La reciprocità è una questione di buona educazione”, è stato il commento dell’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Cui Tiankai.
Il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, ha minimizzato, a breve distanza, l’impatto delle contromisure cinesi, che andrebbero a intaccare solo lo 0,3% dell’economia Usa, e lo stesso Trump, in un tweet, ha dichiarato che gli Usa non sono in una guerra commerciale con la Cina. Nelle scorse ore ha cambiato, però, di nuovo atteggiamento minacciando nuovi dazi su merci importante dalla Cina per un valore complessivo di cento miliardi di dollari. La risposta affidata al Ministero del Commercio cinese promette battaglia al protezionismo Usa “fino alla fine” e “a ogni costo”. Le posizioni di Cina e Stati Uniti non potrebbero essere più distanti: mentre per Trump le guerre commerciali sono “facili da vincere”, il vice ministro delle Finanze di Pechino, Zhu Guangyao, avvisa Washington che la Cina non aveva mai ceduto, nel corso della sua storia, a “pressioni esterne”. Nella serata di oggi, l’ultimo avvertimento, arrivato dal portavoce del Ministero del Commercio di Pechino, Gao Feng. “La Cina è del tutto preparata e non avrà esitazioni” a rispondere a una nuova offensiva Usa sul commercio.