Di chi è la colpa della crisi potenzialmente più esplosiva di tutta Europa: di Putin che reclama la Crimea, di Stalin che le tolse l’autonomia mettendola sotto la Russia o di Krusciov che la tolse alla Russia, ma per darla all’Ucraina? O di Eltsin, che firmò un patto ora definito scellerato, in cui accettava la separazione dalla penisola e prometteva implicitamente che la Russia non avrebbe più avanzato pretese a riguardo?
Probabilmente la colpa non è di nessuno di loro, ma purtroppo della Crimea stessa, territorio bello e sfortunatamente strategico che oggi Matteo Salvini dice essere legittimamente russa, e di Vladimir Putin. E lo dice dalle colonne della Washington Post: quotidiano americano, laddove gli americani in questi ultimi anni sono stati spesso i principali assertori delle istanze ucraine sulla Penisola. La politica internazionale percorre strade spesso imperscrutabili.
La prima nave fu quella di Teseo
Imperscrutabili tanto quanto le rotte dei mari, per cui è in Crimea, chiamata allora Tauride, che Ifigenia figlia di Agamennone rischiò di essere immolata in un sacrificio umano dal suo stesso genitore, ansioso di salpare per Troia ma bloccato dalla bonaccia suscitata da Poseidone.
Ed era sempre in Tauride che Teseo con i suoi Argonauti si recavano, territorio selvaggio e sconosciuto, a recuperare il vello d’oro strappandolo alla sorveglianza del drago della Colchide. Terra di draghi, quindi, la Crimea, e selvaggia come le sue donne: Medea, ci racconta anche Seneca in una tragedia che a leggerla turba i sogni della notte, da Teseo venne sedotta ed ingannata, e si vendicò uccidendogli i figli avuti insieme, e facendoglieli mangiare.
Un porto per il Bosforo
La Crimea è una banchina di porto per cui dalle pianure di betulle si può saltare direttamente al centro del Mediterraneo. Lo sanno benissimo i vacanzieri che oggi ne assiepano le spiagge, sentendosi ai Caraibi anche se il grande freddo di Mosca è a un paio ore di volo. Meta di vacanze da sempre, per i papaveri più alti del comunismo sovietico e non solo: è qui che Gorbaciov si trovava nel '91, quando cercarono di rovesciarlo, è qui che Palmiro Togliatti si recava ogni anno, e vi chiuse gli occhi un giorno d’agosto del 1964. Nei secoli fu, allo stesso modo, agognata dai Tatari e dai loro progenitori Sciti e Sarmati, tanto che ancora adesso 125.000 loro discendenti continuano a viverci, nonostante le pulizie etniche staliniane. Accadde che nella Seconda Guerra Mondiale si affacciarono i nazisti (anche loro ancestralmente attratti dalle sue coste, come gli Ostrogoti secoli addietro) e i Tatari fraternizzarono in chiave antirussa. La vendetta dopo il 1945 fu terribile: deportazione per centinaia di migliaia di uomini e donne verso il Centrasia. In pochi arrivarono, gli altri morirono lungo il cammino.
Luogo d’incroci tra le civiltà, ma anche di divisione tra le potenze. Yalta e la sua conferenza tra Stalin, Churchill e un morente Roosevelt dette inizio a quella Guerra Fredda che ancora adesso fa sentire le sue improvvise gelate sul Vecchio Continente. E che proprio della Crimea sta facendo l’oggetto di una contesa ben più pericolosa di quanto non si possa pensare: la più pericolosa per l’Europa dai tempi dell’esplosione dell’ex Jugoslavia.
Russa, sovietica, autonoma, ucraina, russa
I Russi si appropriarono della Crimea alla fine del Settecento, e fu l’inizio della discesa della Moscovia verso i mari caldi. Cercarono addirittura di cambiarne il nome (“Crimea” è parola tatara e vuol dire “fortezza”: particolare rilevante) per tornare all’antico Tauride. Sotto questo nome la tennero anche dopo quella guerra che noi italiani studiamo sui sussidiari come uno dei capolavori diplomatico-militari di Camillo Benso Conte di Cavour. Ma dopo il 1917, nel nome dell’antizarismo e dell’amicizia tra i popoli, ognuno riebbe ciò che gli spettava. Alla Crimea venne quindi riassegnato il nome che le sue popolazioni usavano da cinque secoli, e in più l’autonomia come soprammercato.
Ma l’indipendenza durò tanto quanto quella della vicina Ucraina: lo spazio di un mattino, da Brest-Litvosk alla sconfitta della Guardia Bianca. Poi nacque la Repubblica Autonoma Socialista di Crimea, incorporata nell’Unione Sovietica e quindi, dopo le fraternizzazioni con i tedeschi, un secondo declassamento a semplice territorio amministrativo. Direttamente sotto Mosca: il cerchio si era chiuso, grazie anche alla russificazione degli anni immediatamente successivi.
Ma anche questo durò poco, perché nove anni dopo, nel 1954, il nuovo segretario generale del Pcus Nikita Krusciov avviava la destalinizzazione non restituendo alla Crimea l’autonomia, ma mettendola alle dipendenze dirette della sua prediletta Ucraina. Qui resterà fino al 1991, quando l’Urss implode e nasce la Comunità degli Stati Indipendenti, ma soprattutto l’Ucraina dice addio a Mosca. Tenendosi la Crimea.
Le basi di Sebastopoli
Ora, il fatto è che nella Crimea staziona la seconda grande componente della potentissima marina ex sovietica (l’altra è divisa tra il Baltico e Vladivostok) cui Mosca non intendeva e non intende rinunciare: è la politica dell’interessamento verso i mari caldi. Per capirci: se la Turchia e la Grecia fanno parte della Nato è proprio perché devono controllare che quella flotta non abbia accesso libero al Bosforo e ai Dardanelli.
Si apre una crisi tra Russia ed Ucraina che porta ad un accordo firmato nel 1997. Il presidente russo, Boris Eltsin, volta le spalle ai russi di Crimea (che nel frattempo sono divenuti il 60 percento della popolazione) e, obbligato dalla debolezza della sua posizione internazionale, baratta le richieste di restituzione con il mantenimento delle basi militari di Sebastopoli.
Prima di Salvini c'è stato Trump
La Russia, però, è potenza imperiale, e certe cose non le dimentica. Quando l’Ucraina e la Crimea con essa compie un passo decisivo verso l’avvicinamento all’Unione Europea, il Cremlino di Vladimir Putin reagisce appoggiando le istanze separatiste della comunità russofona di Crimea (come anche di quelle dei russofoni dell’Ucraina orientale).
Il 16 marzo 2014 un contestato referendum popolare sancisce l’ennesimo ritorno sotto Mosca, ma alla svolta si oppongono sia l’Unione Europea, sia gli Stati Uniti. Questi ultimi almeno fino al giorno dell’avvento di Donald Trump. Quanto all’Europa, Matteo Salvini è il primo esponente di un Paese dell’Ue a chiedere esplicitamente che il contenzioso venga chiuso, e si riconosca la legittimità delle richieste del Cremlino.
Non è un caso che parli pochi giorno dopo il vertice di Helsinki in cui Trump ha restituito, non si sa quando coscientemente, al Cremlino lo status di suo pari. Forse siamo solo ad un ennesimo capitolo di una storia iniziata dai Sarmati e dagli Sciti.