L’ultimo lancio missilistico nord-coreano, che ha sorvolato i cieli dell’isola giapponese di Hokkaido nella mattina di ieri, ha posto una “minaccia senza precedenti” alla sicurezza di Tokyo, che si dice pronta, assieme a Seul, a una pressione “estrema” su Pyongyang, ma Pechino rimane cauta nel trattare la situazione nord-coreana. La prolungata tensione è giunta a “un punto critico”, come affermato ieri dalla portavoce del Ministero degli Esteri, Hua Chunying, che potrebbe aprire a una vera e propria crisi o, nelle speranze cinesi, a un nuovo round di dialoghi per mantenere la pace e la stabilità della penisola coreana. Due posizioni apparentemente lontanissime, quelle di Giappone e Corea del Sud, da un lato, e della Cina dall’altro, e che convergono sulla necessità, avvertita dal primo ministro giapponese Shinzo Abe e dal presidente sud-coreano, Moon Jae-in, di coinvolgere la Cina e la Russia nelle nuove iniziative sulla Corea del Nord.
La cornice del Consiglio di sicurezza dell'Onu
Pechino sta discutendo con gli altri membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle prossime mosse riguardo alla Corea del Nord, ha dichiarato oggi il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ma esclude, come già dichiarato in passato, di appoggiare sanzioni unilaterali nei confronti di Pyongyang. “Qualsiasi misura contro la Corea del Nord”, ha detto oggi Wang, “dovrebbe avvenire nella cornice del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, che ieri ha condannato l’ultimo lancio di un missile balistico uno Hwasong-12 a raggio intermedio, da parte di Pyongyang. Per l’ambasciatore cinese all’Onu, Liu Jieyi, alle sanzioni alla Corea del Nord approvate dal Consiglio di Sicurezza il 5 agosto scorso, vanno affiancati gli sforzi per la de-esclation della tensione e occorre dare seguito agli inviti a tornare ai colloqui a sei per la denuclearizzazione, interrotti nel 2009.
Un atteggiamento già programmato in caso di crisi
Pechino vuole evitare il caos sull’uscio di casa, come aveva già segnalato lo stesso primo ministro cinese, Li Keqiang, a marzo scorso, chiunque sia a crearlo. Un editoriale dell'influente tabloid Global Times aveva sintetizzato la posizione cinese rispetto alla crisi nella penisola coreana già alla metà di agosto, quando la Corea del Nord aveva minacciato di attaccare la base navale statunitense di Guam, nell’Oceano Pacifico: se saranno gli Stati Uniti a cercare di rovesciare il regime di Kim Jong-un, la Cina interverrà per impedirglielo; in caso contrario, se sarà la Corea del Nord a lanciare missili che minaccino direttamente il suolo Usa, Pechino rimarrà neutrale. Nel frattempo, la Cina si prepara al peggio: solo quest’anno, per almeno due volte, sono giunte voci di un ammassamento di truppe al confine nord-orientale e secondo alcuni piani militari citati dal Wall Street Journal a luglio scorso, i preparativi per una crisi in Corea del Nord contemplano già oggi un nuovo gruppo militare a difesa dei confine, un sistema di video-sorveglianza aerea e di bunker, oltre a esercitazioni compiute sia al confine, sia nel Mar Giallo, allo scopo di preparare i soldati nel caso di una crisi.
La Cina “mantiene uno stato di preparazione al combattimento e di addestramento” militare, fu il commento del Ministero della Difesa, anche se, aveva precisato il Ministero degli Esteri, il ricorso alla forza militare “non dovrebbe essere tra le opzioni” per risolvere la crisi con Pyongyang che, almeno a parole, manifesta intenzioni bellicose, e dopo il lancio missilistico di ieri, è tornata a citare Guam dal suo principale organo di stampa, la Korean Central News Agency, come possibile bersaglio.
I timori di Tokio
L'ultima provocazione di Pyongyang ha allarmato Giappone e Corea del Sud che hanno deciso di spingere per nuove sanzioni in sede Onu contro Pyongyang e di portare “a un livello estremo” la pressione nei confronti di Pyongyang. In un colloquio telefonico nella mattina di oggi, il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, e il primo ministro giapponese, Shinzo Abe hanno discusso di come impostare la cooperazione bilaterale dopo il lancio dello Hwasgon-12 di ieri da parte di Pyongyang e hanno sottolineato la necessità di coinvolgere Russia e Cina nelle iniziative di contenimento della minaccia nord-coreana. Per Tokyo, il test di ieri è “una minaccia grave e senza precedenti” che “potrebbe mettere a repentaglio la pace e la stabilità regionale”, come dichiarato dal primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ma anche una “totale sorpresa” per la tempistica del lancio, come dichiarato oggi ai microfoni dell’agenzia Kyodo dal comandante delle operazioni anti-missilistiche dell’aeronautica di Tokyo, Hiroaki Maehara. Il sistema attuale di difesa anti-missilsitica viene definito inadeguato a coprire tutto il territorio e il governo giapponese sarebbe alla ricerca di tecnologie statunitensi di ultima generazione per la propria difesa anti-missile, secondo indiscrezioni raccolte dall’agenzia Reuters.
Il presidente sudcoreano ha cambiato posizione
Per la Corea del Sud, l’ultimo lancio di Pyongyang ha portato le provocazioni a un livello ulteriore, e il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, poche ore dopo il test, ha ordinato esercitazioni militari per mostrare il potere deterrente dell’esercito di Seul. Ieri, la Corea del Sud ha incassato il “pieno sostegno” degli Stati Uniti tramite le parole del top adviser per la Sicurezza della Casa Bianca, H.R. McMaster, mentre il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha aperto alle possibilità di sanzioni più dure nei confronti di Pyongyang in un colloquio telefonico con la ministro degli Esteri sud-coreana, Kang Kyung-wha. Il test missilistico di ieri ha contribuito a un cambio di atteggiamento del presidente sud-coreano nei confronti del Paese a nord del trentottesimo parallelo. A maggio scorso, dopo l’elezione alle presidenziali, Moon aveva aperto alla possibilità di un incontro con il leader nord-coreano, ma le ripetute provocazioni di Pyongyang e i lanci di due missili balistici intercontinentali, il mese scorso, hanno raffreddato gli slanci di Moon, al punto che secondo quanto scrive il quotidiano Chosun Ilbo, il presidente starebbe anche considerando l’eventualità di una guerra lampo con Pyongyang, con o senza l’aiuto degli Stati Uniti. Il Ministero della Difesa di Seul avrebbe illustrato un piano di azione al presidente, che vuole riformare l’esercito per renderlo più moderno e operativo in caso di intervento militare.
Trump perde la pazienza ma Pechino resta critica
Un intervento militare non viene escluso neppure dagli Stati Uniti che ieri, tramite le parole del presidente, Donald Trump, hanno ribadito che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, frase utilizzata per la prima volta dal segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, durante il primo viaggio in Asia orientale del marzo scorso. La Corea del Nord non rispetta “gli standard minimi di comportamento accettabile a livello internazionale” e ha mandato un “messaggio forte e chiaro” delle proprie intenzioni con il lancio missilistico di ieri, per il presidente Usa. Ancora oggi, Trump ha avvertito Pyongyang della fine della pazienza strategica di Washington. “Gli Stati Uniti hanno parlato con la Corea del Nord e hanno pagato denaro estorto per 25 anni. Parlare non è la risposta!”, ha tuonato Trump da Twitter. Un messaggio duro che non incontra, però, il favore di Pechino. “Washington, Tokyo e Seul hanno la loro parte di responsabilità nell’avere creato quello che Pyongyang vede come una minaccia alla sua stessa esistenza”, scrive oggi il quotidiano China Daily in un editoriale in cui ribadisce il sostegno alle sanzioni varate il 5 agosto scorso contro la Corea del Nord e alla proposta cinese per disinnescare la tensione nella penisola, ovvero la sospensione dei test missilistici e nucleari nord-coreani e degli esercizi militari congiunti tra Stati Uniti e Corea del Sud.
Un nuovo status quo
Stati Uniti e Corea del Nord, scrive oggi un altro quotidiano cinese, il Global Times, in un articolo di analisi, “devono smetterla di giocare con il fuoco” per diminuire la pressione su Pyongyang. Quello che si è creato, sostiene Kang Jie, assistente research fellow presso il China Institute of International Studies, è un “nuovo status quo” che può fare gioco a tutte le nazioni coinvolte: gli Usa possono continuare a mantenere l’egemonia in Asia orientale e a contenere strategicamente la Cina; la Corea del Nord ha la scusa per proseguire nel suo programma nucleare, mentre Giappone e Corea del Sud possono utilizzare la situazione per aumentare il sostegno popolare e influenzare le rispettive agende di politica interna. La situazione, avverte, però, lo studioso cinese, è instabile e difficile da controllare. Per ora, a gestire la situazione da vicino, gli Stati Uniti sembrano puntare su un esperto di questioni nord-coreane, Victor Cha, che Donald Trump avrebbe scelto come nuovo ambasciatore in Corea del Sud, secondo le ultime indiscrezioni : anche se la scelta è ancora da confermare, il nome di Victor Cha avrebbe già generato entusiasmi tra gli osservatori della scena coreana, anche per le sue posizioni rispetto al ruolo centrale che dovrebbe avere la Cina nella crisi della penisola coreana.