In Corea del Nord gli hacker non se la passano affatto male. Secondo Quartz, i professionisti che hanno lavorato per conto del regime hanno guadagnato tantissimo: più di 650 milioni di dollari attraverso attacchi informatici che hanno trasformato Pyongyang in una superpotenza. I dati arrivano da una ricerca compiuta da Simon Choi, consulente dei servizi segreti della Corea del Sud, che ha sottolineato come la cifra sia probabilmente solo una piccola porzione di un totale molto più cospicuo. Choi ha dialogato del fenomeno alla Public Radio International con Patrick Winn, giornalista investigativo di fama internazionale e autore di un lungo cortometraggio dedicato alla strategia hacking di Kim e del suo governo.
La scelta di Pyongyang
Nonostante un impoverimento dei cittadini e un isolamento economico gravissimo, la Corea del Nord ha dato, fin dal 2011, grande priorità alla guerra informatica. Sono stati individuati i migliori talenti delle università locali per arruolarli nelle file di questo esercito digitale. Alcuni hanno operato restando all’interno dei confini nazionali ma altri, i più preparati, sono stati inviati in giro per il mondo. Spesso, in Paesi come India e Malesia, assumono la copertura di commercianti e mediatori per poi dedicarsi ad attaccare le istituzioni finanziarie internazionali. Accuse che arrivano direttamente da Seul e da Washington.
Quali sono le “ricompense”
Oltre ai guadagni c’è un’altra promessa che alletta i futuri hacker ad accettare le richieste di Pyongyang. Intervistato da Winn, un ex-hacker nordcoreano ha raccontato come il regime si era preso cura della sua famiglia spostandola dalle povere campagne alla Capitale. Non è un cambiamento da poco perché riguarda “lussi” che pochi possono permettersi: acqua calda, elettricità regolare, pasti meno frugali e alimenti rari, come le banane. Una vita agiata che riduce considerevolmente i possibili tradimenti degli agenti operanti all’estero. Per molti, quindi, non sono solo le armi nucleari nordcoreane a minacciare l’ordine internazionale ma anche la rete di attacchi informatici che, più silenziosamente, Pyongyang approva e sostiene.