"È probabile che Pechino abbia dei piani di emergenza per invadere la Corea del Nord, ma ciò non significa che voglia usarli, si tratta per ora di un'ipotesi remota”. A parlare all’AGI è Giorgio Cuscito, studioso di geopolitica cinese e curatore del Bollettino Imperiale, l’osservatorio di Limes dedicato alla Cina. La crisi nella penisola coreana si è intensificata dopo il test del missile balistico intercontinentale Hwasong-15.
La Corea del Nord è una fonte di crescente imbarazzo, e di frustrazione, soprattutto nei rapporti con gli Stati Uniti. Donald Trump chiede un ruolo maggiore di Pechino nel contenimento di Pyongyang. La Cina, sotto pressione, ha sostenuto in modo più deciso le sanzioni dalle Nazioni Unite contro il regime di Kim Jong-un. Per evitare lo scenario peggiore, alcuni analisti suggeriscono a Pechino di schierare i propri soldati in Corea del Nord.
Almeno trentamila, secondo il Foreign Policy, che servirebbero a controbilanciare i 28.500 soldati Usa presenti in Corea del Sud. Come scrive il Corriere della Sera, la Cina sta accelerando lo studio di un piano militare. Nella zona di Ji'an, al confine, sono stati osservati lavori per la costruzione di un'autostrada a sei corsie: un corridoio - ipotizza il quotidiano - che potrebbe essere percorso dalle truppe per spostarsi rapidamente verso la Corea del Nord.
Cosa accadrebbe se 30 mila soldati cinesi entrassero in Corea del Nord? I tre scenari
“Quando si tratta di interessi nazionali, si spera per il meglio, e si pianifica per il peggio. Non mi sorprende che ci sia un piano di questo genere - se effettivamente ci fosse. Ma credo che difficilmente la Cina potrebbe decidere di varcare il confine nord coreano con le sue truppe”, dice Cuscito. Quali scenari si aprirebbero se trentamila soldati cinesi entrassero nel territorio nordcoreano?
“Primo, Pyongyang non accetterebbe di buon grado l’ingerenza cinese – continua Cuscito -. A meno che l’intervento cinese non sia concordato. Le relazioni tra i due Paesi – un tempo veri alleati - si sono da tempo raffreddate: l’inviato speciale di Pechino, Song Tao, che si è recato a Pyongyang a pochi giorni dalla visita di Trump in Cina era un funzionario di livello più basso rispetto ai precedenti. Secondo, inviare le truppe significherebbe violare il principio cinese di non ingerenza negli affari interni degli altri Paesi, un gesto plateale che danneggerebbe la credibilità del Pcc sia internamente, sia esternamente, agli occhi degli Stati con cui ha rapporti più stretti. Terzo, potrebbero esserci conseguenze nei rapporti con gli altri paesi coinvolti nella crisi geopolitica, Giappone e Corea del Sud, e in generale nella regione”.
Bisognerebbe poi capire in che modalità avverrebbe questa invasione. “Credo che la Cina sia più preoccupata da una possibile fuga umanitaria dalla Corea del Nord piuttosto che dall’ipotesi di invaderla”, dice l’esperto di Limes. Il confine settentrionale, dove la 78esima unità dell’esercito cinese ha da poco compiuto esercitazioni a fuoco, è sorvegliatissimo. “Si tratta di un confine poroso che sarebbe teoricamente facile da valicare da un punto di vista geografico.
Ma l’ipotesi di una invasione preventiva è decisamente azzardata – aggiunge Cuscito -. Sarebbe una soluzione che Pechino prenderebbe in considerazione solo nel caso di un conflitto di più ampia portata. Il Global Times, il più agguerrito quotidiano cinese, aveva scritto tempo fa che solo nel peggiore degli scenari, ovvero nel caso – altamente improbabile – di una invasione Usa in Corea del Nord, la Cina avrebbe dovuto entrare nel territorio nord coreano”.
Dopo l’ultimo test la strategia di Kim non cambia: vuole lo status nucleare. E potrebbe riuscirci
L’incontro tra generali cinesi e americani a Washington, riferito giovedì dall’Associated Press, non è dipeso strettamente dall’ultimo test missilistico condotto da Pyongyang ma “era probabilmente pianificato da tempo”, dice Cuscito. “Il lancio del missile Hwasong-15 non cambia la situazione generale.
La pausa nei test missilistici e nucleari, durata 75 giorni, non ha significato né un allentamento tensione, né un cambio di strategia, da parte del regime nordcoreano. Piuttosto mi è sembrato un modo per non alimentare la tensione in una fase delicata per la Cina, impegnata prima con il Congresso del Pcc e poi con l’incontro tra Xi e Trump a Pechino”, dice lo studioso.
“Stimolare incidenti in una fase delicata per i rapporti sino-statunitense, avrebbe potuto avere gravi ripercussione – ha aggiunto -. La pausa dei test è stata dunque una conferma del fatto che Kim non ha nessuna intenzione di fare la guerra con gli Usa. La ripresa dei test, successiva al viaggio di Trump in Asia, indica che Pyongyang non ha cambiato la sua strategia. L'obiettivo di Kim Jong-un è di dotarsi di un arsenale nucleare tale da impedire che qualunque forza esterna possa rovesciare il regime, puntando al riconoscimento dello status nucleare. Non possiamo escludere che possa esserci un nuovo test nucleare”.
Del resto, proprio il viaggio di Trump in Asia, spiega la Repubblica, avrebbe convinto la Casa Bianca che Giappone e Corea del Sud sono disposti ad armarsi ma non vogliono che gli Stati Uniti colpiscano per primi. Si diffonde tra diversi esperti democratici l’ipotesi di accettare lo status nucleare di Pyongang – il che sarebbe una grandissima vittoria per Kim.
Kim potrebbe essere in realtà già vicino al suo obiettivo
“La strategia del leader nordcoreano è chiara e lineare – sottolinea Cuscito. Pechino e Washington giocano di riflesso, non hanno una strategia unitaria e decisa per rispondere agli attacchi di Kim. Concordano sulla necessità della denuclearizzazione, ma divergono sul come raggiungerla. La soluzione della doppia sospensione proposta da Pechino (sospensione dei test missilistici e nucleari, da una parte, e delle esercitazioni congiunte Washington-Seul, dall’altra), non è mai stata raccolta dagli Usa, neanche durante il recente incontro tra Trump e Xi.
Credo che la doppia sospensione sia la soluzione più indicata per iniziare a risolvere la crisi. Certo, difficilmente Pyongyang accetterà lo smantellamento completo del suo arsenale. Bisogna iniziare a pensare a un congelamento del programma nucleare sul modello di quello iraniano. Se e quando Pyongyang si siederà al tavolo negoziale, lo farà solo perché avrà raggiunto lo status nucleare. Kim è vicino a questo risultato. Resta da capire se la Corea del Nord sia già in grado oppure no di montare su missili balistici testate nucleare miniaturizzate, e se siano in grado di colpire il territorio statunitense.