Dire che è stato, negli ultimi 15 mesi, il vero barometro dello stato dei rapporti all'interno della coalizione di governo suonerebbe peggio che scontato: scolastico. Eppure la si vada a trovare la similitudine, o la metafora, l'allegoria o il tropo che siano più adatti del barometro a indicare l'andamento delle relazioni tra M5S e Lega. Chi andava giù, chi saliva su. Dipendeva dal mare.
Dal mare arrivano le novità ed i pericoli, anche quelli che sono un po' meno tali ma come tali sono percepiti. Cantava una volta Otello Profazio: "Allarmi allarmi suona la campana / li Turchi son sbarcati alla marina". Ed ogni volta che, in questi 15 mesi, quella campana rintoccava, si aveva l'occasione per capire lo stato delle cose tra i verdi e i gialli. I due, al problema dei migranti che giungevano dal mare, avevano dedicato un capitolo del loro contratto di governo. Prevedeva, in sintesi: un centro di permanenza temporanea dei migranti da rimpatriare in ogni regione; prediche in italiano per gli imam; chiusura delle moschee irregolari; rimpatrio per gli occupanti abusivi di immobili anche se stranieri irregolari.
Il caso Diciotti
Bisogna dire che non sono state quelle le misure che hanno caratterizzato il dibattito tra leghisti e grillini, quanto piuttosto la battaglia sulle ong, quello scontro i cui toni anche a Ferragosto il premier Conte ha rinfacciato al ministro Salvini. In principio fu, giusto un anno fa, il caso della Diciotti: unità della guardia costiera, nave delle forze armate italiane. Il 16 agosto del 2018 raccoglie 190 persone che stanno per affogare in acque maltesi. Il Viminale blocca lo sbarco in Italia, fino al 28. La procura apre un fascicolo su Salvini con l'ipotesi di un reato ministeriale, ma la tensione con in Cinque Stelle non sale anche perché l'attenzione di tutti è concentrata sul crollo del Ponte Morandi, e sulla necessità o meno di ritirare la concessione ai privati (comunque, Lega per il no e M5S per il sì).
Il 20 marzo successivo però si capì molto, di come non fossero più paritari i rapporti all'interno dell'alleanza. Il Senato doveva votare l'eventuale autorizzazione al processo contro Salvini per la Diciotti. Risultato: respinta la richiesta della procura, niente da fare. Anzi, contro la richiesta votarono in 237, mentre dal banco del governo un Salvini soddisfatto sedeva accanto a Conte e Bongiorno, ma soprattutto Toninelli. E pazienza se quei numeri travolgenti nascondevano una irritante piccola verità, e cioè che la maggioranza in sè soffriva di anemia, essendo scivolata a 161 senatori grazie anche a tre grillini molto delusi. Il successo fu dovuto, insomma, all'apporto di Forza Italia e Fratelli d'Italia e chissà se la cosa, vista in prospettiva, non assuma un particolare sapore.
La Sea Watch divide il governo
In altre parole, nell'Aula del Senato, grazie al caso della Diciotti, Salvini aprì la campagna per le europee di maggio, e tutti sanno com'è andata a finire. E i sondaggi registravano ad ogni campionatura il bello per i verdi, ed una decrescita poco felice per i gialli, nonostante fosse andato in scena, già a gennaio, il secondo atto di questo duello. Anzi, il primo tempo del secondo atto, perché' gli impertinenti della Sea Watch per due volte, e non una sola, si sono messi di di traverso, in pieno Mediterraneo, a far perdere le staffe al vicepremier.
L'impasse che a gennaio vede il nuovo caso di una nave bloccata prima di entrare in un porto italiano è tutta sintetizzata in uno striscione. "Scendeteli!" chiede o intima una scritta su un lenzuolo bianco tirato fuori da un cassetto. La Crusca ha appena sdoganato la transitività dei verbi intransitivi, nel nome dell'uso comune che ne viene fatto. C'è chi inorridisce e chi si adatta immediatamente. Conte scrive la prima di una lunga serie di lettere a Salvini, e si dice disposto a scenderli lui, quei poveretti bloccati al largo delle coste italiane sulla Sea Watch. Salvini per tutta risposta parte per la Polonia, a rinsaldare l'asse sovranista con il presidente Kaczynski. Al suo ritorno trova la sorpresa: li hanno scesi, perché 15 resteranno sì in Italia, anche se magari ospiti della Chiesa Valdese. Ma gli altri andranno nel resto d'Europa, a far contento il ministro. Conte comunque rivendica a sè il successo.
Nel frattempo fa marcia indietro la Crusca: nessuno sdoganamento, fa sapere. Solo la presa d'atto di un'abitudine, ma le regole restano quelle. Ciò che è intransitivo, intransitivo resti. Il transito non è permesso, figuriamoci la permanenza.
Lo scontro con Carola Rackete
Si fa appena in tempo a prender nota dello straripare della popolarità di Salvini che torna la Sea Watch, guidata da una capitana che la belluinità ce l'ha nel sangue e nel nome: Carola Rackete, dove in tedesco il suo cognome ricorda i missili ed i razzi. Con lei lo scontro è epocale, anche perché non è passato nemmeno un mese dalla vittoria di Salvini alle europee. Non solo nega lo sbarco, il ministro: lascia intendere che ora si pensa a mettere il filo spinato ai confini con la Slovenia. E Giorgetti, da sempre dubbioso sulla necessità di restare al governo con i grillini, inizia a suggerire suadente che sarebbe il caso di aspettare "il momento opportuno" per staccare la spina al governo.
Carola, ad un certo punto, entra in porto con i suoi disperati. Salvini tuona, ma ormai la cosa capo ha. Conte gli ricorda che l'altra partita in corso, quella delle nomine alla commissione europea, sarà lui in persona a gestirla. Il gip ascolta la pugnace ragazza, e non l'arresta. Anzi, le riconosce di aver salvato delle vite, e qualcuno pensa addirittura ad invitare la Sea Watch in audizione al Senato per discutere dell'imminente decreto sicurezza bis. Da ultimo, in mancanza di pronunciamenti dell'accademia della Crusca, un paio di ragazze torinesi lanciano il "freenipplesday": tutte senza reggiseno, come Carola.
Forse sarebbe meglio un pronunciamento della Crusca. Di certo, se le cose stanno per cambiare nonostante un Salvini che nei sondaggi è ormai al 37 percento, nessuno se ne sta accorgendo.