La campagna elettorale, almeno in Italia, sembra essere già iniziata: il 26 maggio 2019 ci saranno le elezioni europee. Decideranno, nell’ordine: la composizione dell’Assemblea di Strasburgo; i nuovi rapporti di forza tra le case politiche europee (antiche ed emergenti); i prossimi vertici della Commissione Esecutiva, quella che emette gran parte delle direttive contro le quali si concentra il malcontento degli europei medi, di ogni nazione ed età.
Più di un capo di governo
Evidente l’importanza dell’appuntamento. Socialisti in caduta libera, popolari che faticano a tenere le posizioni, liberali in affanno e destre estreme, populiste antieuropeiste e antiimmigrati in grande spolvero. Lo si chieda a Matteo Salvini, che il parlamentare europeo lo ha fatto per anni e sa calcolare per bene le misure e i valori di un successo fuori dei confini nazionali.
Un presidente della Commissione Europea, poi, per certi versi vale quanto un primo ministro, o forse più. È il motivo per cui non disdegnò l’incarico Romano Prodi, che guidò Bruxelles dal 1999 al 2004 (un mandato e un pezzo): partecipa ai grandi vertici internazionali, controlla le grandi operazioni finanziarie internazionali, vigila sulla libera concorrenza e sui conti pubblici dei singoli stati. In altre parole, mette bocca su tutto. In politica questo vuol dire avere un potere immenso. Logico che alla carica aspirino in tanti, e che tutti i 27 stati membri tentino di piazzare un loro uomo, o almeno di essere parte del gioco.
Ma la Gran Bretagna no
Ultima annotazione di carattere generale: 27 paesi dell’Unione e non 28. Il 29 marzo, sessanta giorni esatti prima delle elezioni, in un modo o nell’altro il Regno Unito sarà fuori dall’Unione. Una tragedia storica per questa, ma anche la gradita eliminazione di una lunga serie di concorrenti pericolosi per la lunga serie di aspiranti commissari.
Tra tutti i più quotati sono quelli sotto elencati. Ma sia chiaro: tanti aspirano, in pochi concorrono effettivamente, pochissimi potranno sperare e uno solo vincerà. Per agevolare la lettura i candidati sono stati riuniti a seconda del gruppo politico europeo di appartenenza.
Popolari
Manfred Weber
Giovane, candidato ufficialmente da Angela Merkel, tedesco. Cos’altro si può desiderare di avere se si vuole aspirare a questo tipo di incarico. Weber è anche il capogruppo dei democristiani tedeschi a Strasburgo, nonché esponente di spicco della Csu (la qual cosa gli permetterebbe di essere la sintesi tra la Cancelliera ed il suo rissoso ministro dell’interno Horst Seehofer). Ma tanta fortuna nasconde qualche crepa. Innanzitutto la mancanza di esperienza, che gli rimproverano gli stessi quotidiani tedeschi. E poi essere troppo favorito dai pronostici non porta sempre bene. Senza considerare che in molti si lamentano, a Bruxeles e dintorni, che i tedeschi di potere in Europa ne hanno fin troppo.
Leggi qui l'Intervista di Webber alla Stampa
Michel Barnier
Chi non potrebbe essere felice di vedere alla massima carica dell’Europa comunitaria l’uomo che fece piangere Theresa May? Barnier è il capodelegazione dell’Unione ai negoziati sulla Brexit. Scelto apposta perché esperto, sicuro e molto poco incline a comprendere le ragioni degli scissionisti britannici. In effetti ha fatto di tutto: due volte il Commissario a Bruxelles, tre volte il ministro a Parigi, ha una competenza straordinaria dei dossier. Eppure ha un paio di punti deboli: è un conservatore francese nel momento in cui all’Eliseo c’è un liberale come Macron, che se deve guardare all’Europa volge altrove lo sguardo. E poi i tedeschi sotto sotto non vogliono che la Francia pesi troppo in quello che considerano il loro cortile di casa. E Barnier non sa nemmeno il tedesco.
Alexander Stubb
Ex primo ministro finlandese, fa parte di quella cucciolata di giovani politici del nord cresciuti a pane e liberismo. La Germania si sentirebbe garantita da uno come lui, il resto d’Europa molto meno. La Finlandia, poi, non ha il peso di altri membri dell’Ue. Si dirà: nemmeno il Lussemburgo, e Junker, il presidente uscente, è lussemburghese. Giusto, ma Helsinki è sempre un tantino periferica rispetto a Bruxelles, mentre il Granducato è alla giusta distanza da Bruxelles e da Berlino, è francofono e membro fondatore dell’Unione, Tutta un’altra storia.
Antonio Tajani
Presidente del Parlamento europeo il primo italiano dai tempi dell’elezione popolare dell’assemblea. In crescita anche in Italia, è un candidato naturale, e lui spinge molto sulle sue competenze comunitarie: a Strasburgo dal 1994, ha fatto due volte il commissario. Non gioca a suo favore il fatto che l’Italia viene considerata, in questo momento, sovraesposta nelle istituzioni comunitarie, tra cui, Federica Mogherini e Mario Draghi. Probabile un ridimensionamento della presenza.
Socialisti
Maros Sefcovic
Attualmente è il commissario all’energia: ruolo chiave. Punta alla nomina in modo più che esplicito, e se dovesse riuscire sarebbe il primo presidente di un paese dell’Europa Centrorientale (è slovacco). Non sarebbe malvisto nemmeno in considerazione dell’essere la Slovacchia uno dei quattro recalcitranti paesi del Gruppo di Visegrad: è difficile dire di no ad un compaesano. Ma lui non è né conservatore, né euroscettico. È socialista, e i socialisti in questo momento non vanno certo per la maggiore.
Federica Mogherini
La responsabile della politica estera europea è un altro candidato solido e naturale, e lei nel corso del suo mandato ha saputo farsi molti amici. Bisognerà vedere se la sovresposizione attuale degli italiani (come nel caso di Tajani e di Mario Draghi alla Bce) potrà giocare a sfavore anche per lei (così come anche l’essere esponente del gruppo socialista).
Pierre Moscovici
Francese ma non macroniano, come Barnier, e per di più socialista. Si direbbe: meglio non pensarci nemmeno. Ma lui in realtà punta a fare il candidato di mediazione, essendo un socialista centrista di rito tecnocratico. Insomma, se De Gaulle era La Francia, lui è L’Europa. Sperando che anche gli altri siano d’accordo.
Liberali
Guy Verhofstadt
Parla cinque lingue (ma non è l’unico), una vita spesa nei corridoi dell’Europarlamento, vicino alla chiusura della carriera. Non ci sarebbe niente di male, a chiuderla in bellezza. Peccato che il suo gruppo non sia tra i più rappresentativi (più o meno il 10 percento). Da parte italiana non è molto apprezzato da quando bloccò il tentativo del M5S di entrare tra i liberali, e che sia intervenuto di recente contro le politiche antimigranti di Salvini.
Mark Rutte
Un liberale tdai tratti molto conservatori, e questo gli ha permesso di essere confermato primo ministro olandese un anno fa nonostante la concorrenza spietata della destra del Partito del Popolo. Lasciare l’incarico vorrebbe dire regalare ai sovranisti un altro pezzo d’Europa. Ne varrebbe la pena? Per lui forse sì, per tutti gli altri no di certo.
Margrete Vestager
È la terribile commissaria alla concorrenza, in Italia la conosciamo perché ogni volta che si parla di Aliytalia sbuca lei con i suoi nyet. È ammirata, apprezzata, non molto amata. La stima particolarmente Macron, che potrebbe vedere in lei la sintesi perfetta di liberismo e politicamente corretto (è una donna). Ma è nella sua Copenhagen che non piace, e la cosa ha una sua rilevanza.
Europa delle Nazioni e delle Libertà (euroscettici di destra)
Matteo Salvini
Ci credereste? L’uomo che tutti, a Roma, dicono sia interessato solo a fare il Presidente del Consiglio, magari dopo eventuali elezioni anticipate, punterebbe in realtà a Bruxelles. Lì ne sono tutti convinti, scrive Politico, e lo conoscono bene: ha fatto il parlamentare europeo fino a pochi mesi fa. Chissà: mai dire mai. Ma pare molto più facile che la sua vera aspirazione sia forse ancora più ambiziosa: guidare il gruppo di tutti gli euroscettici europei, e divenire così davvero il padrone del Continente che uscirà dalle urne. A fine maggio capiremo.