Xi Jinping è presidente 'in eterno'. Una nuova deriva autoritaria per la Cina?
Dai tempi di Mao mai tanto potere nelle mani di un solo uomo. E tra gli osservatori internazionali si diffonde un timore preciso. Intervista parallela a due analisti
E' ufficiale: l'Assemblea Nazionale del Popolo ha eliminato il limite costituzionale del doppio mandato quinquennale per il presidente e per il vice presidente cinese.
Con 2.958 voti a favore, due contrari e tre astenuti, i quasi tremila delegati dell'Assemblea hanno deciso l'eliminazione del vincolo introdotto nel 1982. L'attuale presidente, Xi Jinping, 64 anni, si prepara così ad assumere l'incarico a tempo indefinito.
Xi era stato eletto nel marzo del 2013 con il 99,86 per cento di consensi, un solo voto contrario e tre astensioni. Le ultime due volte in cui la Costituzione è stata soggetta a emendamenti, nel 2004, i voti contrari all'emendamento alla Costituzione furono dieci e diciassette le astensioni, nel 1999, ci furono 21 contrari e 24 astenuti.
L’Assemblea Nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese (sorta di parlamento), che si riunisce ogni anno per ratificare le decisioni del Consiglio di Stato in linea con quanto stabilito dal Congresso del Partito Comunista Cinese, quest’anno ha aperto i lavori il 5 marzo con il compito di completare il ricambio della classe e di ratificare le modifiche alla Costituzione proposte dal Comitato Centrale del partito - l’organo direttivo di circa 400 membri - alla fine di febbraio scorso.
Tra queste, oltre all’iscrizione del pensiero di Xi sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, già entrato nello statuto del PCC a ottobre scorso, a destare più clamore era stata la proposta annunciata dai dirigenti politici del Comitato Centrale, al termine di un irrituale terzo plenum a ridosso delle “due sessioni” (altro nome dell’Assemblea i cui lavori durano circa due settimane), di eliminare dalla Costituzione il limite dei due mandati per il presidente e il vice-presidente. Questa decisione, ratificata domenica 11 marzo, ha incoronato Xi presidente a tempo indeterminato, oltre la scadenza naturale del 2023.
“Una questione più di forma che di sostanza”, dice all’Agi Filippo Fasulo, Coordinatore scientifico del CeSIF (Centro studi per l'impresa della Fondazione Italia Cina). “Il diciannovesimo Congresso del PCC - ha detto - si era concluso senza che Xi nominasse un successore, lasciando presagire la possibilità che il suo mandato potesse prolungarsi oltre i dieci canonici anni. Restava da capire come ciò sarebbe avvenuto”.
Xi viene generalmente considerato come il leader cinese più potente degli ultimi decenni. Non a caso si è guadagnato l’epiteto di “presidente di ogni cosa”. Oltre ad avere il triplice ruolo di presidente della Repubblica Popolare Cinese, segretario generale del Pcc e presidente della Commissione Militare Centrale, da ottobre 2016 detiene la carica di “nucleo della leadership”, o “core leader”, e alla fine del diciannovesimo Congresso del PCC ha visto il suo contributo ideologico, legato al suo nome, iscritto nello statuto del partito: una mossa che lo ha posto sullo stesso livello di Mao Zedong e di Deng Xiaoping.
Non bastava: ora Xi si aggiudica anche la presidenza eterna. Tra i più attenti osservatori politici – da Orville Schell a Carl Minzer - è diffuso il timore di una pericolosa involuzione autoritaria in un regime che rischia così di azzerare il pur graduale processo di riforma politica che – dopo gli eccessi maoisti - aveva istituzionalizzato il meccanismo di successione al potere, rimettendo le lancette indietro nel tempo e spianando la strada al ritorno di un leader onnipotente.
L’aumento del budget militare (+8,1%), annunciato dall’Assemblea insieme al target di crescita (che si mantiene a 6,5%), si accompagna alla riforma delle forze armate di fatto sempre più sottoposte all’influenza diretta di Xi. La seconda economia al mondo retta da un regime sempre più autoritario e militarizzato fa paura al mondo. Ma, come sempre accade quando si studia un sistema opaco come quello cinese, bisogna misurare col centimetro ogni cambiamento. L’interpretazione prevalente è che la Cina abbia bisogno di centralizzare il potere in una fase delicata di sviluppo, stretta tra la necessità di ridurre le disuguaglianze e di consolidare la posizione internazionale.
Nella "nuova era" la Cina ha bisogno di una leadership forte per realizzare il “sogno del rinascimento della nazione”. Tradotto: diventare una superpotenza entro il 2050. “Non facciamoci condizionare dall’eco della storia immaginando che la Cina debba per forza ripercorrere le strade del passato, Xi non è il nuovo Mao”, ha detto all’Agi Giovanni Andornino, docente all'Università di Torino e vice presidente del Torino World Affairs Institute Twai. “Questa modifica costituzionale – ha detto - è la diretta conseguenza dell’orientamento emerso in modo evidente al diciannovesimo Congresso e che va verso il rafforzamento della capacità di governance del partito. Senza questo emendamento, nel giro di tre anni l’intero sistema si disporrebbe a individuare il successore di Xi, limitando così la capacità del presidente cinese di implementare la propria agenda nell’arco di tempo ritenuto necessario per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si è posto. Ma attenzione, è presto per parlare di presidenza a vita”. A poche ore dalla diffusione della proposta del Comitato Centrale del PCC, il Global Times scriveva in un editoriale che “il cambiamento non significa che il presidente cinese avrà un mandato a vita”, ribadendo la fiducia nella leadership.
Eppure, l’emendamento alla costituzione ha suscitato diverse polemiche anche in Cina, una mossa in cui molti osservatori vedono il segnale di una involuzione istituzionale con l’uscita dalla logica di leadership collettiva introdotta in epoca post-maoista. Deng Xiaoping, cuore della seconda generazione, non ricoprì mai la carica di segretario generale, ma come presidente della Commissione Centrale e della Commissione Militare guidò le riforme di apertura della Cina, fino al 1989, promuovendo il socialismo con caratteristiche cinesi. In una catena di successione ben delineata, gli successe Jiang Zemin (1989-2002), cuore della terza generazione, il cui pensiero politico è racchiuso nella teoria delle tre rappresentanze; giunse poi al potere Hu Jintao (2002-2012), quarta generazione, il filosofo dello sviluppo scientifico. E nel 2012, Xi Jinping: quinta generazione. “Xi è stato il primo leader a prendere il potere senza essere stato nominato da Mao e da Deng, la sua nomina ha segnato il coronamento del processo di istituzionalizzazione mentre oggi si torna a un modello più incentrato sul leader carismatico”, ha sottolineato Fasulo.
Cosa succede se questo meccanismo si rompe dopo 25 anni di successione ordinata? Il sistema non rischia di andare sotto pressione con il ritorno di un sistema di governance incentrato su una persona?
Xi non fa mistero di voler creare un “nuovo sistema di partito” da esportare in tutto il mondo: lo ha dichiarato lui stesso nei giorni scorsi, come riportato dall’agenzia Xinhua. “L’egemonia occidentale nel campo delle idee e delle visioni del mondo, finora data per scontata, deve ora confrontarsi con una Cina che fa della propria strategia di sviluppo e del proprio assetto politico-istituzionale un modello cui altri possono ispirarsi”, aveva anticipato Andornino su Agi a ottobre scorso.
I segnali di involuzione non finiscono qui. I delegati dell’Assemblea Nazionale del Popolo dovranno votare anche le altre modifiche alla Costituzione cinese - le prime dal 2004 - tra cui l’ufficializzazione di un nuovo organo: la Commissione nazionale di supervisione degli organi dello stato con l’obiettivo di gestire la macchina giudiziaria anti-corruzione.
“Un sistema – sottolinea Andornino - sottratto al controllo del Consiglio di Stato e sottoposto alla supervisione dell’Assemblea Nazionale del Popolo, che se ha il merito di inquadrare all’interno dell’ordinamento dello stato la campagna anti-corruzione, svolta fino ad oggi da un organo di partito, rischia tuttavia di contrastare il pieno sviluppo di uno stato di diritto eludendo la creazione di un sistema giudiziario indipendente”. Non sfugge ai più attenti come questo organo, in assenza di un sistema che controlla i controllori, possa trasformarsi, al di fuori di una cornice istituzionale, nel tribunale personale di Xi, che ha fatto della lotta ai corrotti un obiettivo vitale per rimettere il partito al centro e circondarsi di fedelissimi.
Siamo davvero di fronte al ritorno di un leader carismatico al di sopra dello stato di diritto? Xi è troppo potente o ha bisogno di riaffermare la sua leadership perché non è sufficientemente forte?
In questa nuova doppia intervista, due tra i massimi esperti del sistema politico cinese, Giovanni Andornino, docente all'Università di Torino e vice presidente del Torino World Affairs Institute Twai, e Filippo Fasulo, Coordinatore scientifico del CeSIF (Centro studi per l'impresa della Fondazione Italia Cina), provano a spiegarci quanto sia davvero onnipotente Xi Jinping e la portata delle decisioni che l’Assemblea si appresta ad approvare.
Risponde Andornino:
“La speculazione secondo cui l’abrogazione del limite dei due mandati implichi la presidenza a vita è tutta da verificare. Tale emendamento è la diretta conseguenza dell’orientamento emerso in modo evidente al diciannovesimo Congresso del PCC e che va verso il rafforzamento della capacità di governance del partito. Cosa accadrebbe senza questa modifica costituzionale? Nel giro di tre anni l’intero sistema si disporrebbe a individuare il successore di Xi, limitando così la capacità del presidente cinese di implementare la propria agenda nell’arco di tempo ritenuto necessario per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si è posto”.
Risponde Fasulo:
"L’abrogazione del limite dei due mandati presidenziali dalla costituzione è paradossalmente più una questione più di forma che di sostanza. Dal Congresso del PCC era emerso con chiarezza la possibilità che Xi, non avendo nominato un erede, restasse al potere oltre i canonici dieci anni. Mancava di capire come ciò sarebbe avvenuto. C’era l’ipotesi che nel 2023 lasciasse tutti gli incarichi assumendo il ruolo di presidente del PCC (la carica più importante all’interno del Partito è quella di Segretario Generale, ma fino al 1982 il livello più alto era quello di “Chairman”, detenuto da Mao Zedong dal 1949 fino alla sua morte, nel 1976, e poi abolito, ndr). Xi ha scelto di mantenere il triplice incarico e ha dovuto risolvere una incongruenza, giacché le cariche di segretario generale e di presidente della commissione militare non hanno un limite temporale. Si è così giunti alla proposta di rimuovere dalla costituzione il limite dei due mandati per il presidente e il vice presidente al fine di armonizzare la durata dei tre incarichi. Perché, ci si chiede, mantenere a tutti i costi il ruolo di presidente visto che è un titolo più cerimoniale che effettivo? Innanzitutto per una ragione di protocollo visto che ciò gli consente di essere ricevuto da altri capi di stato quando si reca in missione all'estero. La seconda ragione è politica: cedere l’incarico a un altro soggetto, seppur più debole e leale, avrebbe creato un'altra fonte di autorità, che almeno sul piano teorico avrebbe potuto funzionare da contraltare".
La Cina vuole diventare una superpotenza entro il 2050, e per farlo deve cambiare il proprio modello senza pagare costi sociali altissimi. Una sfida non da poco
Risponde Andornino:
“Se Xi fosse vincolato alla prassi dei due mandati, avrebbe a disposizione solo un triennio prima che la vita politica nazionale venga assorbita dal meccanismo di successione. In altre parole: al di là del tangibilissimo elemento di personalizzazione del potere, in un contesto interno e internazionale che presenta una complessità crescente Xi ha scelto di darsi più tempo per non sacrificare il respiro della propria azione di governo alla tradizionale logica dei cicli politici”.
Risponde Fasulo:
"La Cina è entrata in una 'nuova era', un tempo eccezionale che rende necessaria una leadership eccezionale".
Francis Fukuyama scrive che il sistema cinese, senza progressi nello stato diritto, non ha gli anticorpi per evitare che tornino al potere “cattivi imperatori”.
Risponde Andornino:
“Non facciamoci condizionare dall’eco della storia immaginando che la Cina debba per forza ripercorrere le strade del passato. E’ vero: il ritorno a una forma di autocrazia individuale - anziché collegiale - non solo è resa tecnicamente possibile dalla riforma costituzionale, ma risulta persino plausibile se si considera lo stile di governo accentratore di Xi. Detto questo, non mi sento di sposare appieno la polemica di molta stampa occidentale che ha subito istituito un paragone tra Xi e Mao. E’ presto per esprimere giudizi così perentori: rischiamo che la divisione del mondo tra società aperte (noi) e regimi autocratici (la Cina e altri) porti a semplificazioni che non aiutano a comprendere i fenomeni e alimentano profezie che si auto-avverano”.
Risponde Adornino:
“Non lo è nel senso che non vi sono oggi in Cina le forme di costrizione totalitarie utilizzate da Mao. Ciò detto, i margini della libertà di espressione della cittadinanza si sono molto ristretti sotto la leadership di Xi rispetto alle precedenti amministrazioni. E gli strumenti con cui il Partito-Stato cinese controlla e condiziona la società cinese nell’era digitale pongono sfide, anche concettuali, inedite”.
Risponde Andornino:
“Nei primi cinque anni di governo Xi è stato impegnato a consolidare la propria posizione. Oggi non ha più alibi. Prima di trarre conclusioni verifichiamo l’operato delle autorità cinesi nel quinquennio 2018-2022: la Cina che ne emergerà sarà senza dubbio a immagine di Xi e ci dirà come il Partito conta di sciogliere quella che ha definito la “contraddizione fondamentale” della nuova era, ossia quella tra le nuove esigenze di auto-determinazione di una società che si è arricchita e modernizzata, e la permanenza di un regime politico autoritario”.
Risponde Fasulo:
"In questo momento la sfida di Xi è mantenere la coesione interna ed evitare che lo shock immesso nel sistema abbia contraccolpi. Portare a termine la transizione economica ha dei costi sociali e va capito in che misura l’aumentata attenzione del partito sull’economia ponga ostacoli alla crescita del Pil. Con l’aumento della proiezione estera della Cina, Pechino deve fare i conti con alcune resistenze, in primis le tensioni commerciali con Trump. Il rischio è che la Cina abbia corso troppo in fretta imponendosi oltre misura sullo scacchiere internazionale, suscitando sentimenti di sinofobia diffusi in varie regioni del mondo (Europa, Australia, Paesi che si stendono lungo la Via della Seta). La proiezione estera della Cina potrebbe non essere percepita non così pacifica e win-win come è stata presentata, e ciò potrebbe aumentarne i costi".
Eliminare il vincolo dei due mandati non rappresenta una pericolosa rottura con il processo di istituzionalizzazione del potere avviato da Deng Xiaoping per evitare l’emergere di nuovi leader carismatici dopo gli eccessi maoisti?
Risponde Andornino:
"Il vincolo costituzionale dei due mandati per le massime cariche di stato (presidente e vicepresidente) e il limite anagrafico dei 68 anni per le cariche di partito (una prassi non codificata ma consolidata), erano stati voluti da Deng Xiaoping negli anni ’80 per istituzionalizzare le transizioni di potere, con l’importantissimo risultato di consentire alla Cina, a differenza di altri sistemi autoritari, di avere transizioni ordinate per 25 anni. Si tratta di un meccanismo che serviva anzitutto a tutelare le figure apicali del sistema, garantendo il ricambio generazionale e aprendo spazi di opportunità per gli esponenti politici più ambiziosi. Il fatto che non vi sia più all’orizzonte la certezza di un rimescolamento dei ruoli politici apicali mette sotto pressione il sistema, poiché i leader più giovani non naturalmente allineati con la cordata di potere di turno patiscono la frustrazione di una mancanza di contendibilità delle posizioni di vertice”
Risponde Fasulo:
"Si è arrivati a questa scelta seguendo un percorso legale: la proposta di modificare la costituzione è stata formulata all’interno del Comitato Centrale al terzo plenum e la modifica della costituzione verrà approvato dall’Assemblea Nazionale del Popolo. La questione irrituale è un’altra: in genere il Comitato Centrale si riunisce in forma plenaria sette volte in cinque anni: la prima volta subito dopo il Congresso, la seconda all’inizio dell’anno successivo e la terza in autunno (quarta, quinta e sesta a cadenza annuale e la settima poco prima del Congresso successivo). Quest’anno il secondo plenum si è svolto regolarmente a gennaio ma il terzo plenum è stato convocato immediatamente prima delle “due sessioni”, forse perché non era stato raggiunto il consenso. Xi è troppo potente o non è sufficientemente forte? La velocità della riforma costituzionale potrebbe riflettere la necessità di riaffermare la sua leadership. Il quadro è troppo opaco per avere una chiara valutazione. Xi ha avuto la forza di iscrivere nello statuto del Partito il suo pensiero ed è possibile che avesse già in mente di modificare la costituzione. Un segnale di forza che tuttavia rivela un certo grado di insofferenza all’interno del gruppo dirigente".
Risponde Andornino:
“Rimuovere oggi questi vincoli significa re-introdurre nel sistema una discrezionalità individuale che de-istituzionalizza il meccanismo di successione: chi può sapere se e quando Xi cederà il potere? Questo da una parte forza allineamento e conformismo rispetto alle posizioni del leader, rafforzandone la capacità di governance: inutile, infatti, per gli apparati dello stato fare “resistenza passiva” in attesa del ricambio del vertice, come spesso accade nella burocrazia cinese. D’altro canto, però, c’è il rischio che il conformismo atrofizzi la capacità di feedback del sistema, circondando Xi di (pur brillanti) yes-men che si auto-censurano preventivamente quando si tratta di presentare al vertice il ventaglio delle politiche da adottare. Sappiamo che già oggi luoghi di dibattito e pensiero originale - pur se accessibili a pochi - come la Scuola Centrale del Partito hanno visto penalizzata la propria capacità critica. Inoltre, nessun leader mantiene una piena lucidità a vita: senza un principio codificato che imponga il ricambio generazionale, il rischio è che si deteriori la qualità della governance imperniata pericolosamente su una singola persona”.
Risponde Fasulo:
"Il problema si presenterà quando avverrà la successione del potere, tra 10, 15, 20 anni, non sappiamo. Si tornerà al modello precedente il processo di istituzionalizzazione degli ultimi 25 anni? Xi è stato il primo leader a prendere il potere senza essere stato nominato da Mao e da Deng. La sua nomina ha segnato il coronamento del processo di istituzionalizzazione mentre oggi si torna a un modello più incentrato sul leader carismatico”
I rinnovi delle cariche statali e i nuovi nomi ai posti chiave dello Stato sono un tema sotto i riflettori. Principale candidato per la nomina di vice presidente, secondo i pronostici, è Wang Qishan, l’ex zar anti-corruzione, che a ottobre scorso, per raggiunti limiti di età, non era stato riconfermato nel suo ruolo, nonostante molte voci dessero come probabile una sua carica all’interno della leadership.
Risponde Fasulo:
“Una volta fatta l’eccezione il castello crolla: se salta il vincolo d’età sarà necessario individuare nuovi criteri per il rinnovo delle cariche e capire se essi valgano solo per i membri del Politburo o anche per i quadri di livello più basso. Oltre all’incarico che verrà attribuito a Wang Qishan, i riflettori sono puntati sulla nomina dei nuovi vice premier, dei consiglieri di stato, dei ministri, e del governatore della Banca Centrale”.
La creazione della Commissione nazionale di supervisione degli organi dello Stato, un nuovo organo sottratto al controllo del Consiglio di Stato con lo scopo di centralizzare ed estendere la lotta ai corrotti con modalità che si preannunciano arbitrarie, è visto da molti come un ulteriore segnale di involuzione autoritaria.
Risponde Andornino:
“Si tratta di un sistema che scavalca il sistema giudiziario e il potere esecutivo, e - se da una parte istituzionalizza il controllo sulla disciplina dei funzionari pubblici che fino ad oggi era prerogativa del partito (la campagna anti-corruzione guidata dalla commissione centrale per la disciplina ha colpito i funzionari di partito, ndr) - dall’altra a parte, trattandosi di una istituzione di carattere amministrativo, entra in dialettica con il tentativo di sviluppare un sistema giudiziario indipendente. In altre parole: la campagna anti-corruzione non sarà più extragiudiziale ma verrà costituzionalizzata, ossia inquadrata nell’ordinamento dello stato, ma l’istituzionalizzazione di uno strumento amministrativo a questo scopo farà venire meno una delle argomentazioni funzionali che consentivano di auspicare lo sviluppo di un pieno stato di diritto, ossia la necessità di contrastare la piaga della corruzione attraverso un sistema giudiziario indipendente”.
Risponde Fasulo:
"La differenza sostanziale tra la Commissione nazionale di supervisione degli organi dello stato e la Commissione centrale per l'ispezione della disciplina del Pcc, guidata fino a ottobre scorso da Wang Qishan, è che nel secondo caso si tratta di un organo di partito che può agire solo sui propri membri, mentre il nuovo sistema è un organo amministrativo e potrà indagare anche su persone esterne. In pratica con la creazione di questa commissione verrà dato un rango amministrativo a un organo che prima era solo di partito (si specula che i membri dei due organi potrebbero essere gli stessi). In questo modo si centralizza un sistema frammentario noto per la sua inefficienza, e si potrà saltare il passaggio della doppia investigazione – il trasferimento del dossier dall'organo di partito alla procura – limitando il potere delle procure locali. Con il rischio annesso di arbitrarietà. Tutto ciò è coerente con il processo di centralizzazione di Xi iniziato con il terzo plenum nel 2013 con l’istituzione del Central Leading Group for Comprehensive Reform, uno dei tanti “gruppi di potere del capo” (lingdao xiaozu 领导小组) che di fatto ha sottratto al premier Li Keqiang le decisioni economiche riportandole all’interno di una cerchia ristretta di fedeli a Xi. Il leading group è stato riconfermato al quarto plenum nel 2014, con grande enfasi posta sul rule of law per limitare l’arbitrarietà degli enti locali. Si è poi arrivati al sesto plenum, nell’ottobre del 2016, con la nomina di Xi a “core leader”.
Leggi anche: La "nuova era" cinese in un ebook Agi/Treccani