Tempi duri per Anbang, il gigante delle assicurazioni cinesi, che nelle scorse settimane era rimasto decapitato, a causa delle indagini a carico del suo presidente, Wu Xiaohui, uomo estremamente riservato, ma con legami con la famiglia del presidente Usa, Donald Trump. Ora, secondo quanto riferiscono fonti al corrente delle indagini delle autorità cinesi all’agenzia Bloomberg, Anbang rischia di dovere vendere i suoi asset all’estero, che sommati, arrivano alla ragguardevole cifra di dieci miliardi di dollari.
La posizione del presidente Xi Jinping
L’attenzione dei media statunitensi si è focalizzata soprattutto sull’iconico Waldrof Astoria di New York, comprato da Anbang nel 2014 per 1,95 miliardi di dollari, ma nell’elenco degli asset all’estero del più grande gruppo assicurativo della Cina ci sono molte altre acquisizioni, che oggi sarebbero a rischio di dovere essere cedute per la determinazione del presidente cinese, Xi Jinping, di scoraggiare gli investimenti alimentati dal debito e contenere le fuoriuscite di capitali. Anbang era finita il mese scorso nel mirino della Cbrc (China Banking Regulatory Commission, l’ente a vigilanza del settore bancario) assieme ad altri grandi nomi, tra cui anche la Rossoneri Zhejiang Investment, una delle società utilizzate per l’acquisto del Milan, ma soprattutto il gruppo di Wu Xiaohui era stato tra i protagonisti dello shopping sfrenato dei gruppi cinesi all’estero degli anni passati, che ha visto dal 2015 al 2016 triplicare gli investimenti cinesi negli Usa, passati da 15 miliardi nel 2015 a 45 miliardi l’anno successivo.
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I grandi gruppi al setaccio delle autorità
Non ci sarebbero segnali, al momento, che anche gli investimenti compiuti da altri grandi gruppi cinesi passati al setaccio delle autorità debbano andare incontro alla stessa sorte, ma alcuni movimenti compiuti in particolare da un gruppo, Wanda, del miliardario Wang Jianlin, non fanno dormire sonni tranquilli ai capitali d’impresa cinesi. Wanda ha venduto la sua offerta turistica (alberghi e parchi a tema) all’inizio di luglio, al gruppo immobiliare Sunac, per ripianare i debiti, concludendo una transazione da 9,3 miliardi di dollari: l’affare venne poi ulteriormente rivisto, e nella ristrutturazione dell’accordo comparve un altro gruppo, la Guangzhou R&F Properties, che si accollò il pacchetto degli alberghi, in maniera “molto inusuale” come venne descritta dagli analisti. L’affare non ha mancato di attrarre l’attenzione degli esperti più tempestivi che, calcolatrice alla mano, hanno decretato nei giorni scorsi il declino miliardario cinese, sceso al terzo posto, dal secondo, nella classifica degli uomini più ricchi di Cina. Wang sarebbe stato scavalcato da Pony Ma, il fondatore di TenCent, il gigante di internet che gestisce WeChat, la piattaforma di messaggistica istantanea e social network più popolare in Cina.
I Rinoceronti Bianchi devo ridurre la loro esposizione
I “rinoceronti bianchi”, come vengono definiti questi grandi gruppi che hanno investito molto all’estero e che hanno accumulato grandi debiti, devono ridurre la loro esposizione. I rischi finanziari collegati alle conglomerate di Pechino che hanno fatto shopping aggressivamente in giro per il mondo sono stati al centro di una riunione nel fine settimana scorso della Cbrc e della Circ (China Insurance Regulatory Commission, l’ente a vigilanza del settore assicurativo) da cui è uscita la volontà comune di passare il resto dell’anno a indagare sui rischi di sistema posti da questo tipo di acquisizioni, nella convinzione sostenuta dal parere degli analisti che queste operazioni possano avere come effetto nel lungo periodo quello di diminuire i rischi al settore finanziario.
Questo è l'anno del congresso
Segnali di una stretta alle grandi acquisizioni all’estero erano arrivati anche dai dati ufficiali. Secondo i calcoli del Ministero del Commercio cinese, nei primi sei mesi del 2017 gli investimenti outbound cinesi di natura non finanziaria hanno subito un crollo del 45,8% rispetto ai volumi dello stesso periodo del 2016: una caduta verticale, che lascia intravedere per il futuro un ruolo più contenuto della presenza all’estero dei gruppi cinesi, e un’osservanza più stretta alla determinazione dei vertici della politica, che in autunno si confronteranno al Congresso del Partito Comunista Cinese. C’è, però, anche chi ha già mandato un messaggio di allineamento chiaro ai voleri dei leader di Pechino: è Guo Guangchang, a capo della conglomerata Fosun, anch’essa nel mirino delle autorità. In una lettera postata sull’account WeChat ufficiale del gruppo, Guo sostiene le indagini come “appropriate e tempestive”, e si spinge oltre. “Se non prendiamo contromisure, gli stranieri ci prenderanno per stupidi con un sacco di soldi”, scrive il Ceo di Fosun. Anche questo è un rischio che Xi Jinping decisamente non vuole correre nell’anno del Congresso.