Per anni la Cina è stata la patria della politica del figlio unico: una coppia, un figlio. Meglio se maschio. Risultato: sterilizzazioni semiforzate, costante ricorso all’aborto, abbandono di neonati, soppressione di bambini (soprattutto se femmine). Poi è arrivata la liberalizzazione economica, e piano piano ci si è accorti che le generazioni crescevano con una pericolosa preponderanza numerica dell’elemento maschile.
La solitudine del numero primo
Troppo solo, il maschio cinese senza una compagna; persino troppo viziato: l’attenzione dei genitori era spasmodicamente concentrata su di lui fin dalla nascita. Un sistema sociale squilibrato è anche poco efficiente dal punto di vista produttivo: urgeva correre ai ripari. Così è nata la politica dei due figli per coppia, possibilmente un maschio e una femmina, e le cose sono migliorate.
Adesso è il momento di fare il bilancio dell’ennesimo intervento del regime nella vita familiare dei singoli, e non pare che si sia raggiunto l’auspicato equilibrio che le autorità avevano in mente.
I piccoli consumatori del futuro
Se l’obiettivo era quello di aumentare il numero dei cinesi, si può parlare di flop. Il tasso di crescita demografica è cresciuto in modo trascurabile nel 2016, e sceso nel 2017. Ma se la tentazione del governo sembra essere stata, per un attimo, decretare il “liberi tutti” (cioè: fate tutti i figli che volete), qualcosa ha distolto la sua attenzione da questo intendimento.
Pechino, va detto, punta molto sull’aumento della popolazione anche per un motivo ben concreto: il sistema economico crea beni e servizi in quantità incommensurabile. Un giorno tutto questo avrà bisogno di un mercato interno pronto ad assorbire la produzione. Si dirà: sì, ma prima che accada passeranno i lustri. Ma la Cina è potenza plurimillenaria, e per Pechino i decenni sono noccioline. Quindi gli organi di stampa invitano i giovani a sposarsi già all’università, e a fare presto due figli perché per gestire i bambini bisogna essere forti e in forma.
Eppure non nascono
Le aspettative per maternità sono state portate a 98 giorni, gli aborti sempre meno incoraggiati, persino il cesareo è una pratica considerata ora ai limiti dell’opportuno, perché poi un secondo parto è meno facile.
Eppure niente: non nascono. Non nascono. Non nascono.
Un dragone che si morde la coda
È difficile infatti a rovesciare un trend imposto da 50 anni di propaganda in senso contrario. E a cui si aggiunge un altro elemento, e cioè che le coppie giovani, in un paese dove il gap tra ricchi e poveri è molto ampio, di solito vanno a finire in quest’ultima categoria. Il secondo figlio, pertanto, non è più il frutto proibito dell’amore, ma il lusso di una classe media non ancora venuta al mondo.
E così non viene al mondo nemmeno quella generazione di piccoli consumatori che spendendo lo stipendio dovrebbero continuare ad alimentare la prosperità del Paese e la prosecuzione della stirpe in un mercato interno sempre più forte, sempre più ampio. Insomma, c’è un dragone che si morde la coda.
“Signorina, ci dica: intende avere figli?”
Intanto il giovane capitalismo di stato cinese inizia a scontrarsi con problemi sociali che noialtri in Occidente conosciamo da gran tempo. In passato, quando si diceva che uno bastava, non c’era difficoltà ad assumere una donna: al massimo si sarebbe presa tre mesi di aspettativa. Ora il rischio raddoppia, e non è raro che una aspirante all’assunzione si senta chiedere, in un colloquio di lavoro, quale sia la sua vita privata e cosa intenda fare del suo futuro familiare. Avverrebbe, secondo alcune statistiche, addirittura nel 55 percento dei casi.
La lenta espulsione delle donne dalla forza lavoro
Quanto alle retribuzioni, il divario tra uomini e donne è addirittura cresciuto. Risultato: la presenza delle donne nel processo produttivo è il lento ma percepibile declino. Il contrario di quanto avviene in tutte le altre economie emergenti, le asiatiche comprese.
Un rompicapo cui si dovrà trovare presto la soluzione, anche se per Pechino i decenni contano poco.