La Cina è “profondamente preoccupata” e “si oppone con forza” all’ultimo lancio missilistico di Pyongyang, ma se nelle dichiarazioni ufficiali del portavoce del Ministero della Difesa, Wu Qian, “il ricorso alla forza militare non può essere un’opzione” da prendere in considerazione per risolvere la crisi in Corea del Nord, dietro le quinte i generali di Cina e Stati Uniti discutono su come gestire la comunicazione tra i due eserciti in situazioni di crisi.
Nessun riferimento diretto alla Corea del Nord, specificano dal Pentagono in una nota inviata all’Associated Press, ma i temi che sono stati discussi al poco pubblicizzato meeting della National Defense University di Washington tra gli alti funzionari militari delle prime due economie del mondo sembrano applicabili alla situazione nella penisola coreana, tornata a farsi tesa dopo il test del missile balistico intercontinentale Hwasong-15 che ha rotto una pausa di due mesi e mezzo.
Il meeting, in programma da tempo, ha spiegato il generale Joseph Dunford all’agenzia di stampa Usa, “serve come opportunità per discutere su come gestire le crisi, prevenire errori di valutazione e ridurre il rischio di incomprensioni”.
Pechino sotto pressione per contenere Pyongyang
La Corea del Nord è una fonte di crescente imbarazzo per Pechino, e di frustrazione, soprattutto nei rapporti con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che a più riprese ha chiesto un ruolo maggiore di Pechino nel contenimento di Pyongyang. Alle dichiarazioni pubbliche, la Cina ha alternato diversi segnali di insofferenza nei confronti della Corea del Nord, alcuni più visibili, altri, invece, rimasti sotto traccia che rivelerebbero, però, i piani da mettere in atto nello scenario peggiore, ovvero, il collasso del regime di Kim Jong-un.
Quali sono i piani militari cinesi
Un nuovo gruppo militare a difesa del confine, che avrebbe anche compiuto esercitazioni ad hoc in caso di crisi, un sistema di video-sorveglianza aerea nelle aree montuose di confine, e bunker per rifugiarsi in caso di esplosioni nucleari o chimiche, sono alcuni dei programmi già realizzati di Pechino, secondo quanto scriveva a luglio scorso il Wall Street Journal, dopo un’indagine compiuta su siti web governativi cinesi e dopo avere interpellato diversi esperti del settore. La Cina “mantiene un normale stato di preparazione al combattimento e di addestramento” militare, è stato il commento del Ministero della Difesa di Pechino.
Non tutti la pensano così. “Se dovesse scoppiare una guerra, la Cina dovrebbe occupare senza esitazione le parti settentrionali del territorio nord-coreano, prendere il controllo delle strutture nucleari nord-coreane e demarcare aree sicure per evitare l’ingresso nel nord-est della Cina di un’ondata di profughi e di soldati in smobilitazione”, ha scritto un generale maggiore dell’esercito cinese oggi in pensione, Wang Haiyun, in un articolo pubblicato su un think-tank cinese ripreso dal quotidiano Usa.
I segnali di insofferenza si sono resi visibili a settembre scorso, quando, dopo il test nucleare del 3 settembre, il più potente mai condotto da Pyongyang, la marina cinese ha compiuto esercitazioni a fuoco vero nella baia di Bohai, nel nord-est della Cina, le terze esercitazioni militari nel Mar Giallo dal mese di luglio, quando Pyongyang ha lanciato i suoi primi due missili balistici intercontinentali. Il test, che era stato compiuto per preparare una risposta in caso di “attacco improvviso”, come scriveva il sito web di analisi militare 81.cn, è per l’analista militare Li Jie la dimostrazione che “la Cina è preparata e in grado di fermare ogni potenza che minaccia la stabilità nella regione”.
Pechino potrebbe davvero schierare 30mila soldati?
L’ultimo suggerimento, per Pechino, per evitare lo scenario peggiore, è quello di schierare i proprio soldati in Corea del Nord. Almeno trentamila, secondo un’analisi di Foreign Policy, che servirebbero a controbilanciare i 28.500 soldati Usa presenti in Corea del Sud. Una mossa rassicurante nei confronti di Pyongyang, ma che non riscontrerebbe, molto probabilmente, il favore del regime, che in più occasioni ha criticato l’atteggiamento cinese nei suoi confronti, accusandolo anche di “ballare alla musica” degli imperialisti a stelle strisce.
Dalla diplomazia, intanto, non sembrano arrivare i frutti sperati: la visita a Pyongyang dell’inviato speciale di Xi Jinping, Song Tao, si è chiusa in maniera interlocutoria, con generiche promesse di aumento della cooperazione tra i due Paesi. Per ora, Pechino chiude i ponti: come quello dell’Amicizia, che connette la città cinese di Dandong con quella nord-coreana di Sinuiju, ufficialmente per ristrutturazione, come dichiarato dal portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang. Dal ponte dell’Amicizia passa l’80% del commercio tra Cina e Corea del Nord e proprio dal versante economico sembrano arrivare i risultati più efficaci.
Per Xi la denuclearizzazione rimane “l’obiettivo incrollabile”
La Corea del Nord “verrebbe totalmente distrutta” in caso di guerra, ha detto l’ambasciatore Usa all’Onu, Nikki Haley, ma prima di ricorrere a soluzioni drastiche, gli Stati Uniti chiedono alla Cina di tagliare le esportazioni di greggio alla Corea del Nord. “Il presidente Trump ha chiamato il presidente cinese Xi questa mattina e gli ha detto che siamo arrivati al punto in cui la Cina deve tagliare il greggio alla Corea del Nord”, ha dichiarato Haley, nel corso della riunione di emergenza convocata dopo l’ultimo test di Pyongyang. “La Cina deve dimostrare leadership.
Può farlo, o prenderemo la situazione del petrolio nelle nostre mani”, ha concluso il diplomatico Usa al palazzo di Vetro. Nella tarda serata di ieri, ora locale, Xi aveva ribadito che la denuclearizzazione della penisola coreana rimane “l’obiettivo incrollabile” della Cina e il presidente Usa aveva sottolineato che occorre “usare tutte le leve” per arginare la Corea del Nord.
Intervista: Tre scenari possibili dopo l'invio dei militari cinesi in Corea del Nord
Stando agli ultimi dati dell’Amministrazione Generale delle Dogane cinesi, Pechino sembra d'accordo: a ottobre la Cina non ha importato minerali di ferro, piombo o carbone da Pyongyang, e non ha esportato gasolio, benzina o granturco verso Pyongyang. Gli scambi sono piombati ai livelli più bassi da febbraio scorso e le importazioni sono scese ai minimi degli ultimi tre anni. Già a settembre scorso, Pechino aveva deciso di mettere un tetto alle esportazioni di derivati del greggio verso la Corea del Nord, e a giugno scorso, per timore di non essere pagato, il gigante degli idrocarburi di Pechino, China National Petroleum Corporation, ha sospeso la vendita di entrambi i carburanti al regime di Kim, con il risultato di fare lievitare il costo della benzina ai distributori.
I legami con la Corea del Nord hanno, poi, subito un’altra drastica riduzione, settimana scorsa, quando Air China ha deciso di sospendere indefinitamente i voli tra Pechino e Pyongyang. Non c’erano abbastanza prenotazioni, è stato il commento della compagnia aerea di bandiera cinese.