All’ottavo giorno di proteste, il presidente Sebastian Pinera ha ceduto alla pressione della strada: sospeso il coprifuoco in vigore da una settimana nell’area metropolitana di Santiago del Cile e annunciato un rimpasto di governo. Ieri oltre un milione di persone si è riversata sulle strade di Santiago per protestare contro il carovita.
"Abbiamo tutti recepito il messaggio. Siamo tutti cambiati e con l'aiuto di Dio prenderemo una strada verso un Cile che sia migliore per tutti" ha reagito su Twitter il presidente Pinera, dopo quella che si ritiene la più grande manifestazione del Paese, con un milione di persone in piazza a Santiago, il 5% della popolazione totale dello Stato.
La marcia del milione di ieri ha segnato un “giorno storico” secondo la governatrice di Santiago, Karla Rubilar. E oggi giungono due decisioni che potrebbero essere cruciali per un’uscita dalla crisi.
Il capo dello Stato ha annunciato la sospensione del coprifuoco - decretato il 19 ottobre, dalle 19 alle 6 - per ripristinare l’ordine nella capitale, ma per ora rimane in vigore lo stato di emergenza. In un messaggio alla nazione pronunciato dal palazzo di La Moneda, Pinera ha poi riferito di aver chiesto “a tutti i ministri di mettere a disposizione i propri mandati per poter strutturare un nuovo gabinetto per poter far fronte alle nuove esigenze”.
Uno dei ministri più controversi agli occhi dell'opinione pubblica cilena è Andres Chadwick, titolare degli Interni e della pubblica sicurezza, cugino di primo grado del presidente. Negli scontri con le forze dell'ordine, finora 18 persone sono morte e a centinaia sono rimasti feriti. Oltre 7.000 gli arresti mentre sono stati stimati 1,4 miliardi di dollari di danni per l'economia cilena.
WATCH: 1 million people have taken to the streets of Santiago in what is believed to be Chile's largest-ever protest pic.twitter.com/pCSYXm7NdJ
— BNO News (@BNONews) October 25, 2019
Rincaro prezzi metro fa esplodere rabbia cittadini
È cominciato tutto venerdì 18 ottobre, qualche giorno dopo l’entrata in vigore dell’aumento del prezzo del biglietto della metro a Santiago del Cile, passato da 800 a 830 pesos nelle ore di punta. Il secondo rincaro dopo quello di 20 pesos lo scorso gennaio, che in breve tempo ha portato il prezzo del biglietto da 420 a 830 pesos (da 0,52 a 1,03 euro).
Per contestare il rincaro decine di migliaia di passeggeri avevano già iniziato a non pagare il servizio, con un danno economico per il gestore di circa 700 mila dollari. La metropolitana, considerata il fiore all’occhiello della capitale, viene utilizzata ogni giorno da 2,8 milioni di utenti.
In segno di protesta i manifestanti avevano preso di mira tutte le 164 stazioni della rete e gran parte delle barriere e dei tornelli è stata distrutta, con danni stimati a oltre 600 mila euro. In molte strade di Santiago – 7 milioni di abitanti – i cittadini in rivolta hanno eretto barricate e si sono scontrati con la polizia che ha fatto uso di idranti e gas lacrimogeni. "El pueblo unido jamas sarà vencido" (Il popolo unito non sarà mai sconfitto), scandivano i manifestanti, riprendendo lo slogan contro la dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990).
Durante lo scorso fine settimana il servizio di metropolitana è rimasto chiuso ed è stata interrotta anche la circolazione degli autobus. A rischio saccheggi, serrande abbassate domenica scorsa per supermercati e centri commerciali, mentre college e università poi sospeso le lezioni. In seguito ai disordini nella capitale, migliaia di persone sono rimaste bloccate all'aeroporto di Santiago del Cile a causa della cancellazione di 95 voli e la riprogrammazione di 20 rotte.
Coprifuoco e stato di emergenza, ma le proteste non si placano
Il presidente, l’imprenditore di destra Sebastian Pinera, aveva bollato i manifestanti come “delinquenti”, minimizzando l’entità del malcontento sociale. A poche ore dallo scoppio dei disordini, il governo aveva decretato lo stato di emergenza, poi revocato. Nonostante stato di emergenza e coprifuoco – in vigore dalle 19 fino alle 6 – violenze e saccheggi non si erano placati. Nel quadro dello stato di emergenza che ha portato i militari in strada per la prima volta dal ritorno alla democrazia dalla fine della dittatura di Pinochet, nel 1990, migliaia di militari e blindati sono stati dispiegati nelle strade della capitale.
Il presidente Pinera aveva poi bloccato l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana e promesso un tavolo di dialogo "ampio e trasversale" per affrontare la protesta. Da subito, però, si è intuito che le manifestazioni non erano soltanto una denuncia del rincaro del biglietto o di una rete di trasporti inadeguata, quanto l’esternazione di un malcontento profondo per la crescente povertà e disuguaglianza sociale in un Paese a due velocità.
Eppure, fino a pochi giorni prima lo stesso presidente aveva definito il Cile “un’oasi” di tranquillità nella regione, che a metà novembre dovrebbe ospitare il vertice dei leader dell’Apec (Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica).
In reazione alle inarrestabili proteste, Pinera ha presentato la crisi sociale in atto come una “guerra”, un conflitto contro un "nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno". Per vincere questa "battaglia" il governo aveva anche esteso lo stato di emergenza, totalmente o in alcune aree, in 10 delle 16 regioni del Cile: la regione metropolitana (in cui si trova Santiago), Antofagasta, Coquimbo, Valparaíso, Maule, Concepción, Bío Bío, 0'Higgings, Magallanes e Los Ríos.
I motivi profondi del malcontento sociale
Eppure uno dei nodi della contestazione sociale riguarda anche il sistema pensionistico privatizzato, eredità del regime di Pinochet, in vigore dal 1980. Obbliga i lavoratori a depositare ogni mese il 12% circa delle proprie entrate in fondi pensionistici gestiti da enti privati: somme che gli Amministratori di Fondi di Pensioni (Afp) investono sui mercati, realizzando profitti milionari, mentre la pensione versata ai contribuenti è inferiore (l'equivalente di circa 220 dollari mensili) allo stipendio percepito durante l’attività professionale e al reddito minimo (422 dollari). Un altro sistema in vigore, ma solo per dipendenti della polizia e delle forze armate paga, invece, pensioni molto più alte.
I cileni non se la passano meglio per quanto riguarda l’istruzione. Nel Cile di Pinochet, a partire dal 1981, lo Stato ha favorito la nascita e l’espansione di un sistema scolastico ed universitario privato. Oggi le università private sono il 40% dell’offerta e nel contempo lo Stato ha ridotto i suoi contributi alle università pubbliche.
Molte delle famiglie non hanno altra scelta che indebitarsi per poter pagare le elevate tasse universitarie dei propri figli, con la conseguenza che i neo lavoratori sono indebitati e per anni devono rimborsare i prestiti contratti per lo studio. Nel 2016 l’ex presidente Michelle Bachelet ha in parte corretto il sistema per gli studenti con meno risorse, ma non è bastato a ridurre l’indebitamento dei giovani.
Altrettanto discriminatorio e precario il sistema della sanità pubblica orientato verso la privatizzazione dei servizi. I cileni sono costretti a destinare il 7% del proprio stipendio ad un’assicurazione sanitaria a scelta tra quella del sistema pubblico – il Fondo nazionale per la salute (Fonasa) – e quella privata. Circa 14 milioni di persone hanno scelto il pubblico, ma i servizi a disposizione negli ospedali sono sempre più carenti.
Non va neanche meglio a chi si orienta verso il privato, i cittadini più abbienti: le prestazioni sono molto costose e la copertura sanitaria è più bassa, soprattutto per donne e anziani, il che crea ulteriori discriminazioni.
Il costo della vita e dei beni essenziali è alle stelle in Cile, in particolare per chi vive a Santiago. Nell’ultimo decennio nella capitale i prezzi delle case sono aumentati del 150%, quelli di energia elettrica e medicinali del 10% negli ultimi mesi, ma nel contempo il reddito medio è cresciuto soltanto del 25%.
Negli ultimi anni i vertici delle Forze armate - istituzione nella quale i cittadini hanno poco fiducia, conseguenza diretta della storia recente - sono stati coinvolti in casi di corruzione milionari. In politica, invece, è diventata pratica corrente il finanziamento illecito delle campagne elettorali dei candidati, sia dei partiti di destra che di sinistra, da parte dei potentati economici cileni. Casi di corruzione sono all’ordine del giorno ma rimangono impuniti, sanzionati soltanto con multe.
A piano riforme governo sindacati rispondono con sciopero generale
Dopo una reazione iniziale di condanna, Pinera ha poi chiesto scusa pubblicamente alla nazione per non aver compreso in tempo la rabbia popolare, annunciando un piano di riforme sociali con misure come l'innalzamento del 20% delle pensioni e un maggior accesso al sistema sanitario.
Ma le sue parole non sono bastate a placare la rabbia popolare. Una ventina di organizzazioni di lavoratori e studenti hanno replicato con uno sciopero generale degli impiegati pubblici. "Lo sciopero va avanti! Lo diciamo forte e chiaro: basta aumenti dei prezzi e abusi", ha scritto su Twitter la Centrale unitaria dei lavoratori (Cut), principale confederazione sindacale del Paese. A Santiago i sindacalisti hanno marciato da Plaza Italia, dove centinaia di migliaia di cileni stanno protestando da più di una settimana.
Allo sciopero hanno anche aderito i lavoratori del settore sanitario, gli operatori portuali nelle città costiere, gli studenti e gli insegnanti, così come i dipendenti dell'azienda statale Codelco, maggiore produttore al mondo di rame.
Bilancio umano della repressione: 18 morti
Il governo cileno ha dichiarato che, finora, sono morte 18 persone durante le manifestazioni. Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani (Indh), cinque di queste persone sono state uccise dalle forze di sicurezza. La stessa fonte segnalava l’arresto di 2600 persone, 584 feriti - 245 dei quali a colpi d’arma da fuoco - e altre gravi violazioni dei diritti umani.
Alla luce della repressione attuata da polizia e militari nel contesto dello stato d’emergenza e del coprifuoco, l’Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, l’ex presidente cilena Michelle Bachelet, aveva deciso di inviare nel Paese una missione di verifica “per esaminare le accuse di violazioni dei diritti umani”.
Attraverso i canali messi a disposizione della società civile cilena, Amnesty International ha ricevuto centinaia di denunce di gravi violazioni dei diritti umani: dall’uso eccessivo della forza alle irruzioni e perquisizioni illegali, dalla tortura agli arresti arbitrari. Gli esperti digitali dell’organizzazione stanno esaminando le fotografie e i video sin qui ricevuti.
“Il mondo sta osservando quello che accade in Cile. Nei prossimi giorni la nostra unità regionale di crisi sarà in Cile per documentare, insieme alla sezione cilena, le gravi violazioni dei diritti umani e i possibili crimini di diritto internazionale commessi dalle forze dello Stato”, aveva detto Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International. In loco l’unità regionale di crisi di Amnesty raccoglierà testimonianze ed esaminerà informazioni che possano corroborare le denunce di violazioni dei diritti umani e di possibili crimini di diritto internazionale, con l’obiettivo di aiutare le vittime a pretendere giustizia, verità e riparazione da parte dello Stato.
Sui social l’Sos di Ong e cittadini
Sui social sin dalle prime ore delle proteste si è diffuso l’hastag #PineraRenuncia, per chiedere le dimissioni del presidente, e successivamente ha spopolato anche quello #PineraNoTePerdono, in riferimento ai pesanti bilanci delle repressioni delle manifestazioni da parte delle forze di sicurezza che hanno ricevuto carta bianca dal governo.
Cittadini hanno riferito della difficoltà a condividere video e messaggi audio sui social dopo che diverse antenne telefoniche siano state disconnesse, probabilmente per impedire la circolazione delle informazioni dal basso, sia all'interno del Paese che all’estero, in grado di contrastare la disinformazione su alcuni media mainstream.
Un bilancio diffuso il 22 ottobre dall’Istituto nazionale dei diritti umani (Indh) ha confermato 5 uccisioni da agenti dello Stato, la detenzione di 1692 persone, di cui 210 bambini, bambine e adolescenti e 343 donne.
Fonti di stampa estera in Cile, tra cui la giornalista Claudia Aranada - che ha documentato le proteste con un ampio servizio fotografico pubblicato sul sito Pressenza - ha assistito all’arresto illegale di tre minorenni, rappresentanti degli studenti affiliati al Partito comunista. In tutto il Cile, secondo la Procura nazionale, per la sola giornata del 23 ottobre, sono stati eseguiti più di 5400 controlli di identità.
L’Indh sta indagando sulla presunta esistenza di un centro clandestino di tortura nei sotterranei della fermata di metro Baquedano, in Plaza Italia, fulcro delle manifestazioni a Santiago. Rodrigo Bustos, avvocato dell’Indh ha constatato alcuni casi di violenza sessuale ai danni di donne detenute, dopo essere state obbligate a spogliarsi davanti a militari e poliziotti.
Il Canale 2 della regione di San Antonio ha fatto circolare l’informazione – confermata dall’ex deputato democristiano Sergio Velasco de la Cerda – secondo la quale il governo è tornato a utilizzare ‘Tejas Verdes’ dove i detenuti vengono rinchiusi. Un’accusa gravissima in quanto ‘Tejas Verdes’ è stata una delle peggiori “case della tortura” sotto la dittatura di Pinochet.
Molte delle testimonianze dei cittadini fatte circolare sui media stranieri e sui social sembrano indicare che sia effettivamente in atto una “violenza di Stato” con i militari che aprono il fuoco indiscriminatamente sui manifestanti, arresti arbitrari, sparizioni forzate e donne stuprate.
La Commissione interamericana dei diritti umani ha denunciato un "bagno di sangue", diffondendo nei giorni scorsi un bilancio ben peggiore di quello ufficiale: 42 morti, 12 donne stuprate, 121 desaparecidos e un migliaio di torturati.
"La tv non sta informando. Abbiamo bisogno della solidarietà della comunità internazionale. Il caos scoppiato è stato programmato dal governo, da professionisti organizzati e da chi sta dietro per mettere in ginocchio il popolo cileno, in un paese in pieno sviluppo e ricco di risorse naturali. Il popolo si sta ribellando a anni di soprusi e abusi, ma ora sta alzando la testa pacificamente e non si fermerà. Vuole riacquistare la sua dignità, la libertà di parola e vivere in modo dignitoso": è uno dei tanti messaggi diffusi via WhatsApp, attribuito alla rappresentante mapuche, Margot, moglie di Josè Nain Perez.
Fonti italiane residenti in Cile da anni, anonime per motivi di sicurezza, contattate da Agi spiegano che quanto sta accadendo è "ancora prima di una ribellione, una unione trasversale della moltitudine, di un popolo abusato fino al midollo, tradito dai suoi rappresentanti politici per decenni. Rappresentanti incompetenti e irresponsabili, che oggi in un attimo ci potrebbero far ricadere nella più oscura barbarie del passato, invece di un salto di qualità e dignità umana verso il futuro”.
L’ultimo aumento del prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago del Cile di 0,04 dollari è solo la punta dell’iceberg di “30 anni di furti, evasioni, ingiustizie e abusi istituzionalizzati di ogni tipo: dall’educazione alla salute, dalla previdenza sociale alle risorse naturali. Esorbitanti i costi dei servizi essenziali come gas, luce, pane, trasporto, carta igienica, paragonabili a quelli dell’Italia, solo che qui lo stipendio minimo non supera i 300 euro circa”, conclude la stessa fonte.
La sensazione è che la situazione stesse sfuggendo di mano anche al governo, ai rappresentanti delle istituzioni.
"Diventa impossibile prendere sonno. Abbiamo paura a scendere in strada anche nelle ore in cui non c'è il coprifuoco. In città in questi giorni si sono moltiplicate le razzie nei negozi e gli incendi. Ma l'esercito lì non interviene, non sono i criminali e gli sciacalli il loro obiettivo, ma la gente comune. Siamo risprofondati in una paura e una sensazione di insicurezza che questo popolo ha già vissuto una manciata di anni fa. Quello che arriva in Italia e in altri Paesi occidentali è poca cosa rispetto a quello che davvero sta succedendo qui. Non ci lasciate soli, altrimenti il buio calerà".