Ha appena lasciato il carcere ma potrebbe ritornarci presto. La storia di Chelsea Manning, l'ex analista dell'Intelligence dell'esercito americano arrestata per aver fornito documenti segreti a WikiLeaks nel 2010, non si è chiusa con il rilascio dal carcere avvenuto giovedì. Manning era stata rinchiusa in prigione per 62 giorni dopo essersi rifiutata di testimoniare davanti al giudice che indaga sulla pubblicazione dei documenti riservati. I termini della carcerazione erano scaduti.
L'ex analista, però, è stata di nuovo convocata mercoledì, 16 maggio, da un altro giudice che porrà le stesse domande su WikiLeaks. Manning, hanno annunciato i suoi legali, non risponderà come aveva fatto a marzo. Due mesi fa gli avvocati avevano ottenuto l'immunità per la loro assistita, ma quando il giudice aveva cominciato a porre le domande, l'ex analista si era rifiutata di rispondere, denunciando la violazione dei suoi diritti costituzionali. Il giudice della corte federale della Virginia, Claude Hilton, l'aveva condannata al carcere fino a quando non avesse deciso a parlare.
L'indagine lega Manning a Julian Assange, il leader di WikiLeaks, in una battaglia con gli Stati Uniti cominciata sotto l'amministrazione Obama e proseguita con Donald Trump. Assange per sette anni ha vissuto, come rifugiato politico, dentro l'ambasciata dell'Ecuador a Londra, da dove ha continuato a portare avanti la sua battaglia sulla rivelazione di segreti di stato hackerati. Tra questi documenti, figuravano le email di Hillary Clinton, rese pubbliche durante la campagna presidenziale del 2016. Il mese scorso l'Ecuador ha espulso l'ideatore di WikiLeaks, consegnandolo di fatto all'arresto. Gli Stati Uniti vogliono processarlo.
Il ruolo di Manning diventa decisivo: l'ex analista, davanti alla corte marziale del 2013, aveva ammesso di aver spedito a WikiLeaks 250 mila comunicazioni di diplomatici americani e quasi 480 mila report dell'esercito dai fronti di guerra di Afghanistan e Iraq. Ha confessato di aver tentato di parlare direttamente con Assange, ma ha affermato di aver agito in autonomia, non su ordine di WikiLeaks. Al termine del processo del 2013, Manning venne condannata a 35 anni di prigione, finendo per essere graziata dal presidente Obama e uscire nel 2017.
La sua storia ha avuto ulteriore rilievo a causa delle vicende personali: Manning è una transgender, al tempo della prima detenzione era anagraficamente un uomo, Bradley Edward Manning, nato a Crescent, Oklahoma, il 17 dicembre 1987. Durante il carcere Manning aveva avviato la sua transizione come donna, cambiando anche il nome in Chelsea. Per nove mesi aveva passato 23 ore al giorno in una cella di un metro e ottanta per due, in condizioni che le Nazioni Unite avevano definito a livello di tortura. Tre anni fa, Chelsea ha tentato per due volte di togliersi la vita.