Lo scontro tra Stati Uniti e Cina diventa sottomarino, con il crescere di tensioni tra i due Paesi per il controllo delle reti informatiche che passano sui fondali oceanici. Lo scrive il Wall Street Journal, che riporta come, per la prima volta, il comitato di agenzie guidato dal dipartimento di Giustizia statunitense abbia espresso un parere contrario alla realizzazione di un collegamento in fibra ottica che dovrà collegare Los Angeles e Hong Kong.
L’impresa bloccata è il Pacific Light Cable Network: quasi 13 mila chilometri di fibra ottica di proprietà di Google, Facebook e dell’investitore cinese Dr. Peng Telecom & Media Group Co, visto come potenziale facilitatore di un’intrusione da parte dei servizi cinesi nei segreti americani.
Eppure, la gran parte del cavo (la cui installazione è iniziata nel 2016) è già stata posizionata, data la strategicità di un’opera fondamentale con la costante crescita del traffico di dati nel mondo. In parole povere, ogni giorno si mandano più messaggi, si vedono più film in streaming, si caricano più documenti in cloud e si fanno più videoconferenze: tutte funzioni per le quali è necessaria una costante crescita dell’infrastruttura informatica e che richiedono affidabilità e velocità di trasmissione.
“Non vedo niente di nuovo: gli Stati Uniti continuano nell’applicazione della loro politica di sicurezza nazionale escludendo ogni possibile rischio legato a qualsiasi minaccia in ambito tecnologico che possa attentare alla sicurezza nazionale del Paese”, ha spiegato ad Agi Stefano Mele, avvocato e presidente della commissione Sicurezza cibernetica del comitato Atlantico italiano. “Dai cavi sottomarini passano ancora informazioni estremamente sensibili e riservate e la Casa Bianca non intende dare a Pechino un vantaggio strategico permettendo - anche solo ipoteticamente - operazioni di spionaggio su questi dati. Già oggi, ma sempre di più in futuro, vedremo lo stesso approccio anche sul mercato dei satelliti e delle tecnologie a essi correlate, sempre più centrali nel trasferimento di informazioni”.
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A inizio del 2019, come ricostruisce il Sole 24 Ore, erano in funzione circa 378 cavi sottomarini, per una lunghezza totale di più di 1,2 milioni di chilometri (dati Telegeography), attraverso i quali passa il 99 per cento del traffico internazionale di voce e dati. Ormai indispensabili a tenere il mondo connesso, queste infrastrutture sono diventate nel tempo sempre più appannaggio di aziende private, che controllano il traffico e si assicurano che i servizi che offrono siano sempre eccellenti.
Tra questi, uno dei più importanti è il progetto Marea: oltre seimila chilometri di fibra ottica tra la Spagna e gli Stati Uniti che puntano a migliorare la connessione dei servizi di Microsoft (tra cui Azure, Bing e Xbox Live) e di Facebook, soprattutto per quanto riguarda Instagram e WhatsApp.
E anche dal punto di vista economico, quello delle connessioni sottomarine è un mercato di enorme valore. Secondo le stime della Fondazione per le Tecnologie dell’Informazione e l’Innovazione (ITIF), tra il 2019 e il 2021 è attesa la posa di più di cinquanta nuovi cavi, con un mercato che passerà dai 10,3 miliardi di dollari nel 2017 ai 30,8 miliardi di dollari nel 2026.
Cifre che comunque non bastano per mettere da parte il tema della sicurezza nazionale negli Stati Uniti, “le cui esigenze “le cui esigenze giustificano ampiamente gli importanti interventi che oggi la Casa Bianca ritiene di essere costretta ad effettuare sia in ambito economico che tecnologico”, precisa Mele. “Lo abbiamo visto, ad esempio, con il 5G: mai prima d’ora si era assistito a una tale campagna di sensibilizzazione interna e internazionale contro alcune aziende cinesi. Un simile approccio non si può giustificare solo nei termini di una battaglia commerciale: gli Stati Uniti sono realmente convinti che vi sia un rischio per la loro sicurezza nazionale, e si comportano di conseguenza per tutelarla al meglio”.