La caccia a Cesare Battisti è durata oltre 37 anni, ma sembra essersi chiusa una volta per tutte: la fuga infinita dell'ex leader dei Proletari armati per il comunismo, condannato in Italia all'ergastolo per quattro omicidi, è terminata su un marciapiedi di Santa Cruz della Sierra, in Bolivia, quando gli agenti dell'Interpol si sono avvicinati all'ex terrorista italiano e, ottenuti i suoi documenti, lo hanno arrestato senza che lui opponesse resistenza, quasi ad attenderli.
Battisti è stato consegnato direttamente dalla Interpol boliviana a quella italiana nell'aeroporto internazionale di Viru Viru ed è salito a bordo di un aereo inviato dalle autorità nazionali; il volo è partito e dovrebbe arrivare in Italia domani nel primo pomeriggio. Il premier Giuseppe Conte, che ha parlato di risultato "atteso troppi anni", ha ringraziato il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, per "l'efficace collaborazione" e anche le autorità boliviane. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha aggiunto che Battisti "sconterà la pena che gli è stata comminata: l'ergastolo!". Anche il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha detto che "non deve uscire vivo di galera perché quando toglieva la vita agli innocenti non si è posto il problema se l'ergastolo fosse umano e disumano".
In fuga dal Brasile già da novembre
È stato un team di investigatori italiani della Criminalpol, dell'antiterrorismo e del Servizio di cooperazione internazionale di polizia a rintracciare l'ex terrorista dei Pac che aveva fatto perdere le sue tracce tra novembre e dicembre scorso, dopo che era stato emesso a suo carico un nuovo mandato di arresto. L'estradizione dal Brasile era stata firmata un mese fa dal presidente brasiliano uscente, Michel Temer, che dall'1 gennaio scorso ha lasciato il posto a Bolsonaro, vincitore delle ultime elezioni presidenziali. Le cose per Battisti si erano messe male da quando alla guida del Brasile è arrivato quest'ultimo, che aveva annunciato già in campagna elettorale l'intenzione di consegnarlo alle autorità italiane. A Cananea, sulla costa di San Paolo, dove risiedeva, non lo vedevano già da novembre. A metterlo in allarme erano stati, tra l'altro, i continui annunci pubblici della sua imminente cattura.
Il momento dell'arresto
Gli agenti italiani erano da una settimana a Santa Cruz, la seconda città boliviana, a circa 800 chilometri a est di La Paz, ed avevano circoscritto la loro attenzione su una serie di indirizzi. Quando hanno creduto di aver individuato l'ex terrorista, hanno cominciato a tenerlo sotto controllo e ad eseguire tutta una serie di verifiche tecniche (comparazioni di immagini, confronti fotografici, osservazioni dirette) per avere la certezza dell'identificazione. Una volta fugato qualsiasi dubbio, è scattato il fermo ad opera della polizia boliviana: Battisti è stato intercettato in strada e non ha opposto alcuna resistenza. C'è anche un video che lo ritrae pochi minuti prima del fermo, maglietta con le maniche corte, occhiali scuri, barba e baffi per camuffarsi, camminava tra i negozietti con passo spedito.
Al momento del fermo, gli hanno trovato in tasca 10 'boliviani' (la moneta locale, l'Equivalente di meno di due dollari) e "puzzava d'alcool", ha aggiunto una fonte locale. Battisti ha parlato con gli agenti in portoghese ed ha esibito il suo documento brasiliano.
Un'indagine complessa
"È stata un'indagine complessa: hanno collaborato moltissimo la Polizia boliviana che ha dato un contributo fondamentale, l'Interpol, la Polizia di prevenzione e la Digos di Milano. Ci sono accertamenti ancora in corso sulla rete di protezione di cui ha goduto. Sui dettagli non posso al momento sbilanciarmi ma posso dire che da diverso tempo il personale era lì, prima in Brasile e poi in Bolivia, e ha fatto anche attività congiunte. Anche l'Aise ha contribuito alle operazioni della cattura", ha spiegato ancora Lamberto Giannini, direttore centrale della Polizia di prevenzione parlando di fronte al Viminale.
E adesso si attende il rientro, anche se si è saputo che l'ex terrorista aveva chiesto rifugio il 21 dicembre scorso alla Commissione nazionale per i rifugiati della Bolivia (Conare); e non è escluso che il Difensore civico boliviano presenti ricorso nei confronti della decisione delle autorità di La Paz di espellerlo e consegnarlo all'Italia. Anche il governo brasiliano si attendeva forse un esito diverso. A metà pomeriggio Augusto Heleno, il capo di gabinetto di Bolsonaro ha fatto sapere che l'ex terrorista sarebbe rientrato nel Paese, fatto tappa in Brasile e poi trasferito in Italia a bordo di un aereo brasiliano.
Comunque sia, adesso, in Italia lo attendono le patrie galere, l'ergastolo secondo il governo. In Italia Battisti è stato condannato a due ergastoli per quattro omicidi. La Costituzione brasiliana non prevede l'ergastolo come pena e quindi l'Italia, pur di riaverlo, nell'accordo per l'estradizione raggiunto nel 2017, aveva fornito la garanzia dei trent'anni come pena massima. "In quel momento fu fatta una valutazione dall'allora ministro della Giustizia: era meglio avere Battisti e fargli scontare una pena di 30 anni, piuttosto che non averlo", ha ricordato Bonafede. "L'unica condizione da accettare era quella dei 30 anni: è stata fatta questa valutazione e la lasciamo al tempo in cui è stata fatta".
Il ruolo dei servizi segreti
"Al di là delle dichiarazioni ufficiali e di quello che ci è dato sapere, è probabilmente corretto immaginare che la nostra agenzia per i servizi di intelligence per l’estero ovvero l’Aise, stesse monitorando e seguendo la vicenda da tempo, soprattutto da quando sembrava possibile che il candidato Bolsonaro che già si era pronunciato per una restituzione all’Italia del ricercato Battisti, potesse diventare presidente del Brasile", spiega ad Agi l'esperto di sicurezza Carlo Biffani, "le cose avrebbero potuto prendere una accelerazione imprevista ed era meglio intensificare le attività di controllo".
"Già da quel momento gli uomini della nostra intelligence, che mai avevano mollato la presa, hanno infatti intensificato le azioni fino ad identificare il luogo nel quale il ricercato viveva e si moveva monitorandone successivamente la fuga", prosegue l'esperto, "il personale e gli operatori della Agenzia della quale si discute hanno certamente le caratteristiche, i requisiti e le capacità operative e tecniche per effettuare una “estrazione” da qualsiasi luogo del globo, di un soggetto che deve essere fatto rientrare, ma una operazione di questo tipo avrebbe probabilmente messo il nostro governo ed il nostro paese in una posizione di “difetto” e di grave imbarazzo, tanto più per via del fatto che si sarebbe svolta all’interno dei confini di uno Stato sovrano ed amico come sono il Brasile o la Bolivia".
"Per questa ragione è immaginabile che le preziosissime informazioni in possesso della nostra intelligence siano state condivise con la Polizia di Stato e che questa di raccordo con l’Interpol e le Forze di Sicurezza brasiliane e boliviane abbiano poi, con grandi capacità, chiuso il cerchio ed effettuato la cattura", conclude Biffani.