Una vita di finzioni, di bugie, di storie inventate: fa discutere in Germania il caso di Wolfgang Seibert, capo carismatico di una comunità ebraica nello Schleswig-Holstein, nonché uno degli esponenti più in vista e più impegnati del mondo ebraico tedesco, che secondo un'ampia inchiesta dello Spiegel sarebbe, in sostanza, "un impostore".
In pratica, il 71enne Seibert secondo il settimanale amburghese non è ebreo: avrebbe inventato di sana pianta la propria origine e la propria storia per far carriera all'interno della comunità. Il diretto interessato, spesso intervistato da grandi giornali e da varie emittenti televisive, per ora rifiuta qualsiasi commento aggiungendo solo di voler prima parlare con il proprio avvocato. Lo Spiegel scrive, in sostanza, che non è vero che la madre di Seibert sia nata in Ucraina e che sua nonna Anna Katharina Schmidt (nata Marx) sia sopravvissuta ad Auschwitz, mentre il nonno avrebbe combattuto nella guerra di Spagna al fianco degli anarchici: ebbene, sarebbe tutto inventato.
Il certificato di nascita ebraico di sua madre Seibert ha rifiutato di mostrarlo ai reporter. In realtà, così emergerebbe dalle ricerche del settimanale, Seibert è nato il 16 agosto 1947 a Francoforte sul Meno, figlio di genitori di credo evangelico, e battezzato tre giorni dopo. Neanche Anna Katharina può esser stata ebrea, perché già il nonno di costei era certamente di religione evangelica, secondo i documenti scovati dallo Spiegel. "Leggende", le definisce il settimanale, che Seibert diffonde da decenni: "Non è vero che sia chi dice di essere. Al contrario si tratta di un truffatore recidivo e di un impostore".
Ma perché Seibert si sarebbe inventato tutto?
A detta dello Spiegel, è come minimo "improbabile" la storia familiare di Seibert, in quanto il nonno paterno è stato sottufficiale e il padre granadiere nella Seconda guerra mondiale: "Fossero stati individuati come ebrei certamente non sarebbero stati arruolati nella Wehrmacht". L'inchiesta dello Spiegel apre ovviamente moltissime controversie anche perché Seibert - che dal 2003 guida la comunità di Pinneberg - è uno dei protagonisti del dialogo interreligioso tra cristiani ed ebrei in Germania.
Due anni fa ha promosso il primo partenariato evangelico-ebraico con una comunità religiosa amburghese. Nel 2014 finì su tutti i giornali per aver concesso nella sua comunità il cosiddetto "asilo di chiesa" ad un profugo di religione musulmano. Molto spesso lo si vede in testa ai cortei contro l'avanzata dell'Afd e dell'estrema destra e contro il risorgere dell'antisemitismo nella Repubblica federale. D'altra parte, la vicenda ricorda per molti aspetti la vicenda raccontata dallo scrittore spagnolo Javier Cercas nel suo libro "L'Impostore": è la storia - vera - di Enric Marco, presidente dell'associazione spagnola dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti nonché ex segretario del sindacato anarchico, il quale aveva totalmente inventato la propria storia. Ossia che era stato a sua volta deportato nel lager di Flossenbuerg e che aveva partecipato in prima fila alla guerra civile spagnola.
Per quanto riguarda Seibert, il problema è però anche che, oltre alla ricostruzione delle sue origini, lo Spiegel lo accusa pure di essere un truffatore: nel 1991 avrebbe sottratto almeno 10 mila marchi di un'associazione giovanile, la stessa cosa con un gruppo di scout cristiani, dei quali avrebbe trattenuto irregolarmente 7500 marchi, in un'altra occasione il maltolto sarebbero stati 43 mila marchi ai danni dei Verdi della sua circoscrizione, per i quali si era candidato nel lontano 1988. Tra l'altro, tra il 1980 e il 1982 Seibert era finito in carcere: lui aveva sempre sostenuto di esser finito dietro le sbarre per aver nascosto dei terroristi della Raf.
In realtà, afferma lo Spiegel, era stato condannato per truffa. La settimana scorsa i reporter dello Spiegel hanno sottoposto allo stesso Seibert i documenti del comune di Francoforte e i registri parrocchiali che dimostrerebbero che la sua autobiografia è frutto di pura immaginazione. Alla domanda sul perchè avrebbe inventato tutto, ha risposto: "Penso che alla mia identità ebraica percepita era necessaria una storia ebraica".