Oltre 1.850 morti, 530.000 sfollati, 1 milione e 300 mila persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Sono i numeri del conflitto in Camerun, una guerra civile scoppiata un paio di anni fa nata da un problema linguistico.
Lo scontro, infatti, è deflagrato in seguito alle rivendicazioni, pacifiche, della minoranza anglofona che vive nelle regioni occidentali di un paese dove l’80% della popolazione parla francese.
Il conflitto oggi vede di fronte le forze ribelli che chiedono la creazione di uno stato indipendente, l’Ambazonia, e l’esercito governativo.
Una guerra combattuta per mesi nel silenzio, ma che nelle ultime settimane sta tenendo banco in tutto il mondo: dopo l’appello dell’Onu, il dossier camerunese è arrivato sul tavolo del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian.
Chi combatte, e per quale motivo, in Camerun?
Ottobre 2016: nelle due regioni anglofone occidentali del Camerun, il Nordovest e il Sudovest, gruppi di insegnanti e avvocati di lingua inglese dichiarano sciopero e scendono in piazza contro il dominio francofono in diversi settori della vita.
I manifestanti chiedono il rispetto dei diritti delle minoranze, la tutela dell’insegnamento dell’inglese e lamentano le scarse opportunità di ricoprire posizioni pubbliche a causa delle barriere linguistiche.
Alle rivendicazioni il governo risponde con la forza, lanciando lacrimogeni sui manifestanti e con un centinaio di arresti. I primi scontri lasciano sul terreno sei morti.
Ma è un anno più tardi che la situazione degenera: nel settembre del 2017, infatti, arriva la dichiarazione unilaterale di indipendenza dell’Ambazonia, questo il nome dell’area che racchiude le due regioni anglofone.
I secessionisti dichiarano anche l’inizio della guerra contro il governo di Yaoundé, la capitale del Camerun e sede del governo.
A guidare la riscossa non sono più avvocati e insegnanti, ma una frangia violenta composta, secondo Crisis Group, da sette milizie armate che in totale contano tra 2.000 e 4.000 combattenti.
Dentro c’è di tutto, dai membri della comunità anglofona ai mercenari nigeriani, dagli ex combattenti ai criminali sfuggiti alle condanne, persino ufficiali in pensione.
In mezzo a loro ci sono anche donne. Per Foreign Policy i gruppi di miliziani separatisti sono ancora di più, una ventina.
La crisi umanitaria: il 40% degli ospedali è inutilizzabile
Con la comparsa delle armi, da una parte e dall’altra, quelle che erano cominciate come manifestazioni di protesta delle classi lavoratrici e intellettuali del paese si trasformano in una guerra civile da centinaia di vittime.
Un conflitto che negli ultimi mesi si è diffuso anche in alcuni villaggi francofoni e che oggi vede le parti in causa arroccate sulle proprie posizioni senza che si intraveda una vera via di uscita.
Così, a distanza di quasi tre anni dai primi scioperi, l’emergenza umanitaria prosegue: secondo le Nazioni Unite, se l'anno scorso le persone che hanno avuto bisogno di assistenza erano 160.000, oggi “sono oltre 1,3 milioni, otto volte di più”.
Più di mezzo milione di persone hanno lasciato le regioni del Nordovest e del Sudovest; 35mila rifugiati, soprattutto donne e bambini, sono scappati nella vicina Nigeria.
Un’emergenza rimasta per mesi nell’ombra nonostante gli ingenti danni provocati anche alle infrastrutture: secondo l’Onu, oltre 600.000 bambini hanno perso le opportunità di andare a scuola, mentre il sistema sanitario è stato danneggiato al punto che il 40% delle strutture della regione è oramai inutilizzabile.
Mentre il governo di Paul Biya, l’eterno presidente 86enne in carica dal 1982, assicura di “non aver mai optato per una soluzione militare” al problema anglofono, la Francia lancia l’allarme: “Nelle regioni di lingua inglese del Camerun la situazione continua a peggiorare – le parole del ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian – e le perdite umane sono sempre più pesanti”.