Gli atleti, oggi come un tempo, sono più di semplici sportivi. E la politica, questo, lo sa bene. L'ultima conferma è arrivata pochi giorni fa, quando i giocatori della nazionale di calcio turca hanno fatto un saluto militare durante l’inno nazionale delle qualificazioni agli Europei contro l’Albania prima e la Germania poi. O ancora, la presa di posizione sui social a supporto dell’esercito turco, impegnato in Siria, da parte del centrocampista turco del St.Pauli Cenk Sahin.
Una mossa, la sua, che ha destato l’indignazione del club tedesco, da sempre schierato contro ogni forma di violenza. Proprio per questo, la società ha reso noto di aver allontanato il calciatore. Il suo contratto rimane valido ma Sahin non giocherà più per il St. Pauli. "I principali motivi sono il ripetuto disprezzo dei valori del club e la necessità di proteggere il giocatore. Per quanto ci riguarda, non può essere in discussione il fatto di rifiutare ogni atto di guerra", si legge nella nota della società tedesca.
Fin dalle Olimpiadi in Grecia, politica e sport si sono sempre mosse a braccetto. Inscindibili nell’anelare la meta, il trofeo, il successo. Con il 776 a.C – anno della prima Olimpiade - la sfida agonistica ha iniziato a mescolarsi a quella politica, alla lotta per il prestigio e alla supremazia. Per un atleta vincere significava ottenere fama eterna. Ma anche accesso a ricchi benefici materiali: compensi cospicui e importanti cariche pubbliche.
Le Olimpiadi moderne
Con la fine dell’Ottocento, le Olimpiadi moderne hanno iniziato ad assumere (almeno di facciata) un profilo diverso. Il fine di queste manifestazioni sportive era quello di recuperare un senso di fratellanza e comunità internazionale, ma anche ricercare una sorta di riscatto umano. Proprio per questo motivo, le gare olimpiche dovevano essere libere da interessi politici. Tuttavia i governi, e soprattutto le dittature, hanno sempre visto nel campo agonistico un’interessante occasione per testare le proprie strategie, un luogo su cui proiettare le proprie ambizioni. Parallelamente, nel corso del tempo, sono state momento storico per manifestare messaggi e opinioni personali.
Il caso delle Olimpiadi del 1936
In occasione delle Olimpiadi berlinesi del 1936, Hitler si impegnò a rendere, agli occhi del mondo, la Germania un paese pacifico, tollerante e, soprattutto, forte. Per lui si trattava di un’occasione per promuovere l’immagine del regime nazista, ma anche per dimostrare la teoria della superiorità della razza ariana. Tuttavia, a trionfare quell’anno non fu la bandiera tedesca bensì un atleta, di colore. Il 3 agosto del 1936 Jesse Owens vinse la medaglia d’oro nei 100 metri durante il secondo giorno delle Olimpiadi di Berlino. Il 23enne, figlio di un povero agricoltore nero del sud degli Stati Uniti vinse altre tre medaglie d’oro nel corso dei giochi, mettendo in imbarazzo i nazisti e le loro convinzioni.
I Giochi Olimpici del 1968
Uno tra gli episodi più celebri nella storia dello sport e della politica avvenne all’Estadio Olimpico Universitario di Città del Messico, nel 1968. Alla premiazione della finale dei 200 metri piani c’erano due corridori erano statunitensi: Tommie Smith e John Carlos. Una volta ricevute le medaglie, i due ascoltarono l’inno nazionale sollevando un pugno chiuso ricoperto da un guanto: una manifestazione di solidarietà nei confronti delle Black Panthers, l’organizzazione che da qualche anno lottava per mettere fine alla discriminazione degli afroamericani. Smith e Carlos non trovarono solidarietà e appoggio. Anzi, furono costretti ad abbandonare il villaggio olimpico, mettendo così la parola fine alla loro carriera.
Le Olimpiadi di Roma e di Rio de Janeiro
Nel 1960 il maratoneta Abele Bikila percorse a Roma i leggendari 42 chilometri e 195 metri senza indossare le scarpe. Erano gli anni in cui il continente nero si liberava dalla colonizzazione europea, e qualcuno vide nel gesto di Abele Bikila un messaggio chiaro e preciso.
Nel 2016, durante le Olimpiadi di Rio, la schermitrice italiana Elisa Di Francisca, fresca vincitrice della medaglia d’argento nel fioretto, festeggiò sul podio esponendo la bandiera europea (e non, come da protocollo, quella nazionale). “Con questa bandiera – spiegò l’atleta - voglio mandare il messaggio che l’Europa è unita e lotta contro il terrorismo”.
Le ultime manifestazioni di dissenso politico
Nelle ultime settimane si sta assistendo a molte manifestazioni di dissenso politico provenienti dal mondo dello sport. Basti pensare al gesto di un dirigente dell’Nba che, ai primi di ottobre, ha twittato il suo appoggio ai manifestanti di Hong Kong, paese in cui le proteste imperversano da più di 4 mesi. Si tratta di Daryl Morey che, GM degli Houston Rockets, si era dichiarato a favore dell’azione dei “ribelli”.
Poi, ancora, la presa di posizione del Barcellona contro le sentenze del tribunale di Madrid: “La pena preventiva non ha aiutato a risolvere il conflitto, non lo farà la pena detentiva inflitta ora. La soluzione del conflitto in Catalogna deve arrivare esclusivamente dal dialogo politico”, ha commentato sui social il club di calcio. “La società esprime sostegno e solidarietà ai familiari delle persone private della loro libertà”.