Insieme a Matera, a spartirsi il titolo di Capitale europea della cultura per il 2019, c’è una città bulgara. Si chiama Plovdiv, in italiano Filippopoli dal nome di Filippo II, il padre di Alessandro Magno, che nel 341 a.C. la annesse al proprio impero macedone. La sua storia è passata tra le mani di decine di conquistatori che, in più momenti, ne hanno arricchito l’aspetto. Oggi conserva le tracce di ogni epoca vissuta: da quella antichissima dei Traci alle ville del Rinascimento bulgaro, dall’epoca romana che le ha lasciato in eredità un anfiteatro mozzafiato alle moderne università che attraggono migliaia di giovani studenti.
A Plovdiv vivono oltre 300 mila abitanti, è la seconda città dopo la capitale Sofia, e in questi mesi ha il compito di mostrare i muscoli di un Paese che, negli ultimi anni, è sempre stato nei bassifondi della classifica sulla felicità dei suoi abitanti, il World Happiness Report.
La Bulgaria è un Paese triste?
La Bulgaria, almeno stando al sopracitato rapporto pubblicato a marzo 2018 dal Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite e dal Global Happiness Council, è al centesimo posto (su 156) nella classifica della felicità dei Paesi del mondo, dietro a Nigeria e Somalia e appena davanti al Venezuela. Ancora più preoccupante è il confronto con i partner dell’Unione europea, di cui la Bulgaria fa parte dal primo gennaio del 2007: è il peggiore tra tutti e 28 i Paesi, con un punteggio di 4,9 su 10.
Le buone notizie non arrivano nemmeno da un’altra classifica, l’Happy Planet Index, che ha relegato la repubblica balcanica al 109esimo posto su 140. Ma i suoi sette milioni e mezzo di abitanti sono davvero tristi? Diamo uno sguardo alle variabili prese in considerazione dalle due classifiche.
Quella dell’Onu ne valuta sei: il reddito pro capite, il supporto sociale, l’aspettativa di buone condizioni di salute, la libertà di fare scelte di vita, la generosità e la percezione di corruzione. A costar cari alla Bulgaria sono soprattutto questi ultimi tre valori: ma se il sentimento di sentirsi costretti nella propria esistenza, che si traduce in una scarsa speranza di poterla cambiare, sembra seguire andamenti simili ad altri paesi dell’Europa orientale, cioè che fa davvero la differenza è il livello di corruzione percepita.
La seconda classifica viene stilata secondo parametri in parte differenti: ci sono l’aspettativa di vita e la felicità percepita, che confrontati danno la misura dell’ineguaglianza tra le diverse classi sociali; e c’è anche l’impronta ecologica, cioè la quantità di terra necessaria per produrre le risorse necessarie al sostentamento.
Ultima anche nella classifica Eurostat. Ma ci sono dati incoraggianti
C’è una terza classifica che vede la Bulgaria all’ultimo posto: è quella stilata nel 2015 dall’Eurostat, l’istituto di statistica europeo, a proposito del “livello di soddisfazione”. Con un punteggio medio di 4,8 su 10, è l’unico dei 28 Paesi membri a non raggiungere la sufficienza (il Portogallo, penultimo nella graduatoria, tocca quota 6,2). Secondo Dimitar Bechev, ricercatore alla London School of Economics, le ragioni sono diverse: c’è la sensazione che l’entrata nell’Ue non abbia ancora dato i frutti sperati, spiegò ai tempi a Euronews, ma anche una caratteristica a suo dire innata nel popolo bulgaro. Quella di “tendere a non fidarsi di nessuno”. E poi il processo, ancora in atto, di ricostruzione di un’economia solida dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica.
Secondo lo scrittore Georgi Gospodinov, intervenuto recentemente su La Lettura del Corriere, le radici della tristezza bulgara affondano ancora più indietro nella storia: “Una volta, da bambino, ho sentito dire a mio padre ad alcuni amici ‘Siamo felici perché non sappiamo quanto siamo infelici’”, ha scritto riferendosi al confronto con gli altri Paesi negato durante gli anni del socialismo. A distinguere la Bulgaria da Polonia e Repubblica Ceca, però, sarebbe stato a suo dire l’assenza di una “tradizione di resistenza” durante quegli anni. “Un risveglio troppo lento dalla letargia, che lascia mal di testa e tristezza”.
Qualcosa, tuttavia, pare essere sul punto di cambiare. I segnali arrivano dalle stesse classifiche che inchiodano Sofia e Plovdiv all’ultimo posto: l’Eurostat certifica che tra i più giovani (la fascia tra i 16 e i 24 anni) il grado di soddisfazione sfiora il 6; mentre il World Happiness Report certifica, tra 2015 e 2017, un balzo in avanti di oltre un punto rispetto al triennio 2008-2017.