In origine il 'Brexit day' doveva essere il 29 marzo 2019. Poi il 12 aprile, infine il 31 ottobre, ma con il rischio di un rinvio al 1 giugno se il Regno Unito non avesse partecipato alle elezioni europee. Invece, l'Unione Europea oggi è stata costretta a concedere la terza proroga in sette mesi al Regno Unito, spostando il termine ultimo dell'uscita al 31 gennaio 2020, sempre che il Parlamento di Westminster riesca a approvare e ratificare l'accordo di recesso entro quella data.
Tre anni e quattro mesi dopo il referendum del 26 giugno 2016, il numero di rinvii sulla data di uscita chiesti dal Regno Unito e accettati dall'Ue è indicativo del caos in cui è precipitata la politica britannica a causa della Brexit. Le procedure dell'articolo 50 del Trattato, che regola le modalità di recesso di uno Stato membro, sono iniziate il 29 marzo del 2017, quando l'allora governo di Theresa May ha formalmente notificato la sua volontà di uscire dall'Ue.
La prima bozza di accordo tra il Regno Unito e l'Unione Europea è stata siglata da May il 25 novembre del 2018. La seconda bozza del "deal" è stata sottoscritta dal suo successore, Boris Johnson, il 17 ottobre di quest'anno. Ma il Parlamento di Wesminster non è mai stato in grado di dare il via libera definitivo a un accordo Brexit.
La prima richiesta di proroga è stata presentata da May il 20 marzo del 2019, a soli nove giorni dalla data d'uscita, fissata dal trattato: due anni dopo la notifica formale di avvio delle procedure di recesso. May avrebbe voluto un rinvio della Brexit al 30 giugno, ma il 21 di marzo i capi di Stato e di governo hanno accettato solo una breve proroga fino al 12 aprile per cercare di mantenere la pressione sul Parlamento di Westminster.
Il tentativo è stato vano: lo stesso scenario, infatti, si è riprodotto pochi giorni dopo a seguito di una serie di voti inconcludenti della Camera dei Comuni sull'accordo Brexit. Dopo essere stata nuovamente sconfitta a Westminster, il 5 aprile May ha presentato una seconda richiesta di rinvio della Brexit fino al 30 giugno. Il 10 aprile, i leader dell'Ue a 27 hanno concesso la seconda proroga, ma spostando la data al 31 ottobre. In più hanno fissato una serie di condizioni che avrebbero potuto portare a un'uscita anticipata. Se il Regno Unito non avesse partecipato alle elezioni europee il 22 maggio, la data di uscita sarebbe stata il 1o di giugno.
Al suo arrivo a Downing Street Johnson ha promesso la Brexit per il 31 ottobre "o morte". Ma i suoi progetti di uscire anche in caso di no-deal sono stati vanificati da una legge adottata dal Parlamento britannico a ottobre - il cosiddetto "Benn act" - che lo ha costretto a chiedere un rinvio della Brexit perché il via libera definitivo all'accordo non è arrivato entro il 19 ottobre. Johnson ha inviato all'Ue una lettera di richiesta non firmata.
Così oggi l'Ue è stata costretta a concedere la terza proroga in sette mesi, fissando la quinta data d'uscita possibile. Ma, come la seconda, anche la terza sarà una proroga "flessibile": se il Regno Unito approverà l'accordo concluso da Boris Johnson prima del 31 gennaio, potrà uscire in anticipo dall'Ue, cioè il primo giorno del mese successivo la ratifica. Ma a Bruxelles in pochi scommettono su un voto positivo di Westminster, mentre alcuni immaginano già una quarta proroga. Almeno, la soluzione di oggi permette all'Ue di tenersi fuori dal dibattito in corso a Londra sulla possibilità di convocare elezioni per uscire dallo stallo Brexit.