Mentre a Londra il premier conservatore Boris Johnson contro tutto e contro tutti cerca di chiudere con l'Europa, con o senza deal, a Edimburgo la separazione forzata da Bruxelles ha riacceso velleità secessioniste: si sono concretizzate in una proposta di legge per indire un secondo referendum per l'indipendenza dal Regno Unito. A rilanciare un chiaro messaggio indipendentista pochi giorni fa sono stati gli stessi scozzesi, scesi a migliaia per le strade della capitale con tanto di bandiera nazionale, in alcuni casi marchiata dalle stelle della bandiera europea, che sono tornati a chiedere un nuovo referendum per staccarsi da Londra.
La battaglia per la secessione è portata avanti dal gruppo All Under One Banner, fondato nel 2014 dall'attivista Neil MacKay per mantenere l'attenzione sulla questione dopo la sconfitta (seppur di misura) dei nazionalisti al referendum del 15 settembre, cinque anni fa. Il fronte indipendentista perse per pochi punti la battaglia per la separazione della Scozia dal Regno Unito: 55,42% per il 'no' a fronte del 44,58% ottenuto dal sì. Un risultato storico in quanto fino a poche settimane dal voto, i detrattori della secessione erano in vantaggio di 20 punti, spinti da una campagna bipartisan di propaganda da parte del governo britannico di James Cameron e promesse di privilegi, anche finanziari, per convincere Edimburgo a non divorziare da Londra.
Sull'onda dell'entusiasmo scaturito dal risultato elettorale inaspettato, i separatisti locali del Partito nazionale scozzese (SNP) vinsero le elezioni parlamentari dello stesso anno, ottenendo 56 seggi in Parlamento su 59; un record storico visto che non avevano mai superato i 6 seggi negli ultimi 40 anni.
Il referendum sulla Brexit
Ulteriore slancio all'indipendentismo scozzese è arrivato dal referendum sulla Brexit del giugno 2016, nel quale il 65% degli scozzesi votò per rimanere nell'Ue. Per Edimburgo - così come per Belfast - restare nell'Unione Europea significa essere sottoposte in maniera meno diretta al governo di Downing Street. In realtà i sondaggi della vigilia indicavano una percentuale molto più alta di eurofili in Scozia, ma il risultato più basso al referendum sulla Brexit fu la conseguenza di una massiccia propaganda del SNP che incitò gli elettori a pronunciarsi a favore del 'Leave' proprio per contribuire al successivo aumento dei sentimenti separatisti in Scozia.
Così è andata: nel periodo immediatamente successivo alla vittoria del 'Leave' tutti i sondaggi hanno mostrato un repentino aumento del sentimento separatista in Scozia, con una percentuale fino al 20% superiore a quella dei detrattori.
Un nuovo vento secessionista soffia sulla Scozia in concomitanza con il progressivo deteriorarsi del clima tra Edimburgo e Londra. Dopo la vittoria del 'Leave' lo strappo più clamoroso risale al maggio 2018, quando il Parlamento di Holyrood si rifiutò di ratificare il provvedimento che dava il via alla Brexit. Un voto non vincolante, certo, ma che lanciò un messaggio politico inequivocabile.
Johnson premier
Anche l'elezione di Johnson a premier britannico ha dato un rinnovato impulso all'indipendentismo scozzese considerato che Edimburgo respinge con forza lo scenario di un 'no deal'. Così negli ultimi 3 anni la battaglia per rimanere nell'Ue e quella per divorziare da Londra sono proseguite di pari passo.
I nazionalisti scozzesi cercano di cavalcare l'onda del caos politico che regna in Gran Bretagna a causa della Brexit per rilanciare la proposta di un nuovo referendum per l'indipendenza e riprendere in mano le redini della situazione. E in parte ci sono già riusciti. Non è bastata la promessa di Johnson di erogare 300 milioni di sterline di fondi extra alla Scozia per rabbonire la premier scozzese, Nicola Sturgeon, forte del 37,8% ottenuto dal suo partito nazionalista SNP alle elezioni europee dello scorso maggio.
Sturgeon aveva chiesto il sostegno di tutti gli scozzesi decisi a mandare un chiaro messaggio anti-Brexit e lo ha ottenuto, ribadendo in ogni occasione di essere totalmente contraria al 'no-deal'. E ora il governo autonomo scozzese fa sul serio: lo scorso giugno ha pubblicato il testo della proposta di legge per indire un secondo referendum secessionista. Secondo molti analisti, potrebbe essere indetto una volta che la separazione del Regno Unito da Bruxelles sarà diventata definitiva.
Un referendum, come ha spiegato Surgeon, per "dare l'opportunità di scegliere di essere una nazione indipendente europea, invece di farci imporre un futuro con la Brexit". Edimburgo ha detto "forte e chiaro di essere una nazione europea", le ha fatto eco il ministro per gli Affari Costituzionali, Michael Russell, sostenendo che lo scenario di una Brexit senza accordo "soddisfa in pieno" i presupposti per un nuovo referendum.
A confermarlo anche il risultato di un sondaggio dello scorso agosto che valuta tra il 46 e il 52% gli scozzesi favorevoli all'indipendenza. Il disegno di legge dovrà essere approvato entro la fine dell'anno ma, su questo fronte, non dovrebbero esserci difficoltà, data la solida maggioranza pro-Remain composta dallo SNP e dai Verdi.
Il disegno non contiene, però, la data del referendum né la sua formulazione esatta, che dovranno essere definiti in un secondo tempo. Al momento l'ostacolo principale è la mancanza del necessario 'via libera' del governo di Londra. La Sturgeon lo vorrebbe indire comunque nella seconda metà del 2020 e comunque entro maggio 2021, quando si terranno nuove elezioni per il Parlamento di Scozia.
"Sarebbe un oltraggio per la democrazia se il governo cercasse di bloccare un simile referendum", ha dichiarato la premier scozzese, sperando in una qualche forma di pressione dell'opinione pubblica internazionale per superare il 'no' di Londra alla consultazione. Contrari al divorzio da Londra i Conservatori scozzesi - schierati con il 'Leave' - che denunciano "il diktat della premier ossessionata dall'indipendenza, che non lascia il popolo decidere in un referendum legale".
Altri critici sostengono che una secessione comporterebbe tagli alla spesa per miliardi di sterline, ma Sturgeon ha replicato di lavorare ad un piano per l'indipendenza economica che chiarirà come Edimburgo possa camminare sulle proprie gambe.