Quando il cittadino di un Paese finisce in carcere in una nazione straniera per ragioni politiche, prassi vuole che il suo ministro degli Esteri intervenga per tirarlo fuori dai guai. Il risultato può essere però un drastico peggioramento della situazione, quando lo scranno di capo della diplomazia è occupato da un gaffeur del calibro di Boris Johnson. Il numero uno del Foreign Office è noto per i suoi scivoloni, che costituiscono quasi un filone giornalistico a sè stante. Come quando dichiarò che la Libia potrebbe essere una meta turistica di successo "se rimuovesse i cadaveri dalle spiagge". O quando, lo scorso anno, accusò l'allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di nutrire "un'avversione ancestrale" per il Regno Unito in quanto suo padre proveniva da un'ex colonia albionica, ovvero il Kenya. Questa volta, però, una sua incauta dichiarazione rischia di costare dieci anni di detenzione a Nazanin Zaghari-Ratcliffe, una cittadina britannico-iraniana detenuta nella Repubblica Islamica perché accusata di aver partecipato a manifestazioni contro l'esecutivo di Teheran.
La donna, che ha lavorato per le organizzazioni benefiche della Thomson Reuters e della Bbc, era stata arrestata nel 2016 ed era stata condannata a cinque anni con l'accusa di "aver tentato di rovesciare il governo". Le imputazioni specifiche non sono però mai state rese note. Zaghari-Ratcliffe si è sempre difesa affermandosi di essersi recata in Iran solo per visitare sua figlia, ospitata dai nonni. Lo scorso aprile aveva perso il processo di appello ma le autorità iraniane le avevano concesso la libertà vigilata. Finché Johnson, durante un'audizione alla Camera dei Comuni del 1 novembre, non dichiarò che "per quel che ne sapeva, Nazanin Zaghari-Ratcliffe era lì semplicemente per insegnare giornalismo alla gente". Parole che contraddicono la tesi della difesa della donna e che ha convinto ulteriormente Teheran di trovarsi di fronte a un'agente straniera.
I laburisti chiedono le dimissioni
Tre giorni, la magistratura iraniana ha infatti convocato nuovamente la donna, utilizzando la dichiarazione del ministro degli Esteri britannico come materiale probatorio per spiccare due nuovi capi d'accusa contro di lei, tra i quali "propaganda antigovernativa". Se verrà ritenuta colpevole anche di queste imputazioni, la donna rischia altri cinque anni di carcere.
La successiva telefonata di Johnson al suo collega iraniano, Javad Zarif, si è rivelata inutile. Il primo ministro britannico, Theresa May, ha confermato la "piena fiducia" del suo ministro. Il sottosegretario al Commercio, Liam Fox, ha provato a difenderlo asserendo che "i lapsus capitano a tutti". L'opposizione laburista, furibonda, ne ha invece chiesto le dimissioni. "Al mio paese, lapsus è bestemmiare di fronte ai propri figli, non condannare una cittadina britannica ad altri cinque anni di galera", ha affermato la deputata del Labour Tulip Suddiq.
"Avrei potuto essere più chiaro"
Johnson si è difeso affermando che le sue parole non potevano costituire la base per un nuovo processo ma ha ammesso che "avrebbe potuto essere più chiaro". Una decisa reprimenda è arrivata da un suo predecessore, Sir Malcolm Rifkind, ministro degli Esteri dal 1995 al 1997, ai tempi del governo Major, il quale ha dichiarato alla Bbc che l'ex sindaco di Londra "dovrebbe concentrarsi di più" e "fare attenzione ai dettagli". Il marito della donna ha invece chiesto a Johnson di recarsi in Iran per visitare la sua consorte in prigione, se proprio intende chiedere scusa.