La barbarie non ha mai fine. E così in Mauritania sta riprendendo vigore la pratica del “gavage”. Per le bambine è un incubo, perché vengono sottoposte ad un’alimentazione forzata proprio per ingrassare, perché secondo i canoni mauritani “grassa è bello”. Ma è una pratica brutale. c, così da piacere di più agli uomini. Non solo, vi sono delle strutture dedicate a questa brutale pratica. La dieta giornaliera: 2 chilogrammi di miglio mescolato a due tazze di burro e 20 litri di latte di cammella. E se questa non fosse sufficiente, si aggiungo ormoni utilizzati in veterinaria.
Il concetto è molto semplice: una ragazza magra testimonia la miseria in cui è stata costretta a vivere e non troverebbe mai marito. Una grassa, invece, testimonia l’opulenza della famiglia da cui proviene. E secondo un proverbio mauritano, che diventa drammatica realtà, “una donna occupa nel cuore del marito il posto che occupa nel letto".
Un fenomeno che ha subito nel decennio scorso una battuta d’arresto, oggi - anche se solo nelle aree rurali del paese - sta riprendendo vigore. Mentre nella capitale Nouakchott sta diminuendo. Proprio in queste zone esistono “fattorie per l’ingrasso”, veri e propri allevamenti di ragazze grasse. Istituti di pena dove le bambine scontano la colpa di essere magre. Di non essere obese. Di non essere appetibili per gli uomini. E, dunque, si va all’ingrasso. Questa è la piaga del leblouh (nutrizione forzata), una tradizione custodita dalle anziane che portano le ragazze ad ingrassare fino a 100 chilogrammi nel giro di pochi mesi. Le ragazzine escono da questi “allevamenti” giusto in tempo per sposarsi. E quindi, addio scuola, educazione, sogni. In Mauritania - altra piaga - è diffusissimo il fenomeno delle spose bambine.
Oggi in Mauritania il 20% delle bambine viene alimentata forzatamente, mentre altre lo fanno spontaneamente. E la morte prematura è dietro l’angolo. Non sono rari i decessi per infarto, malattie cardiovascolari, disfunzioni renali o diabete.
La pratica ha origine in un’epoca in cui, presso i berberi, la ricchezza di un uomo si calcolava in base al numero di schiavi che possedeva e che permettevano alle sue mogli di oziare. Da qui l’obesità che deriva dall’equazione ricchezza uguale libertà di non lavorare, perché per te lavorano gli schiavi.
La schiavitù, infatti, in Mauritania è tutt’altro che debellata, anche se formalmente abolita per ben due volte, è dura a morire. Nonostante una legge che ha fatto della schiavitù un “crimine contro l’umanità”, reato represso con pene fino a 20 anni, e nonostante l’istituzione di tre Corti criminali specializzate in materia, i ricchi, i discendenti degli arabi-berberi, la praticano ancora e a farne le spese sono i neri autoctoni che diventano schiavi per discendenza, già schiavi quando sono nel ventre della madre.
In Mauritania sono circa 600 mila i cittadini, su circa 4 milioni di abitanti, che vivono in schiavitù. Si tratta, appunto, dei discendenti delle popolazioni africane autoctone. Non hanno diritti, non vengono pagati per il lavoro svolto, non possono uscire dal paese, sono completamenti soggiogati al padrone, che ne dispone come vuole. I padroni, i bianchi, discendenti delle popolazioni arabo-berbere. Una pratica, inoltre, legittimata da alcuni testi religiosi del rito musulmano sunnita malechita, prevalente nel paese, che prevedono la dannazione eterna per chi vi si oppone.
Paladino dell’antischiavismo in Mauritania è Biram Dah Abeid, che da oltre vent’anni porta avanti la sua battaglia nonostante sia stato, per questo, arrestato più volte. In un’intervista al quotidiano La Stampa a firma di Francesca Paci, spiega che il “20% dei miei connazionali sono schiavi e il 35% sono schiavi affrancati, significa la metà della popolazione”. E aggiunge che il razzismo da cui proviene la schiavitù ha tante cause, “e quella economica è la meno importante. Il codice d’onore degli arabi per esempio, considera degradante il lavoro, nei campi come in cucina, e prevede schiavi per questo.
È così da secoli e da secoli gli schiavi partoriscono schiavi che i padroni si trasmettono in eredità. Poi c’è la religione, che sin dall’inizio è servita da giustificazione. In Mauritania si racconta che i futuri schiavi e i liberi fossero uguali. Poi, durante un temporale, i primi si coprirono la testa con il Corano macchiandosi la faccia d’inchiostro e Allah, ritenendoli irrispettosi, lì condannò alla negritudine e dunque alla schiavitù”.
La schiavitù è stata bandita, ma non viene punita. Le élite, le stesse che hanno fatto le leggi, sono le prime che la praticano. Difficile che un giudice punisca sé stesso. Tanto è vero che la schiavitù continua e il negazionismo pure.