A Surabaya, la seconda città più popolosa dell'Indonesia, sono stati due giorni di bombe e morti. Nelle ultime 48 ore l'ombra dello Stato Islamico è tornata ad allungarsi sul più grande paese musulmano al mondo per numero di credenti, con più di 203 milioni di fedeli, l'87% della popolazione indonesiana, al 99% di professione sunnita. È dal 2015 che le autorità dell'Indonesia - come quelle di Singapore e della Malaysia, altre nazioni del sud-est asiatico esposte al rischio del terrorismo jihadista - denunciano il pericolo della crescente influenza dello Stato Islamico sulla popolazione. Gli attentati degli ultimi due giorni, a 'conduzione familiare', contro chiese cristiane e polizia, sono l'ultima escalation. Tornando indietro nel tempo, è lungo l'elenco di attentati che si concentrano sul territorio di Giacarta, la capitale, di Surabaya e della località turistica di Bali.
L'attentato di domenica contro tre chiese cristiane di Surabaya, concluso con 13 vittime, è quello più mortale dall'ottobre 2005, quando 23 persone furono uccise in tre attacchi messi a segno a Bali. Il primo eclatante attacco risale all'ottobre del 2002 contro la discoteca di Kuta Beach a Bali: 202 civili morirono, tra cui molti turisti stranieri. Pochi mesi dopo, nell'agosto 2003, nell'esplosione di autobombe di fronte all'albergo Marriott a Giacarta le vittime furono 14. A settembre 2004 un'altra autobomba deflagrata di fronte all'ambasciata dell'Australia nella capitale indonesiana uccise 9 persone mentre più di 180 altre rimasero ferite. A luglio 2009 un doppio attentato simultaneo contro gli alberghi Marriott e Ritz-Carlton di Giacarta causò altre 9 vittime.
Il fallimento della 'deradicalizzazione'
In risposta all'attentato di Bali e ai successivi attacchi organizzati da militanti legati ad Al-Qaeda, le autorità indonesiane hanno effettuato retate e operazioni di sicurezza contro i gruppi estremisti. Una lotta portata avanti per diversi anni: 800 militanti arrestati, più di 100 altri uccisi, un programma di 'deradicalizzazione' e numerosi attacchi sventati secondo i bilanci ufficiali. Tuttavia i militanti rilasciati, non adeguatamente reinseriti nella società, hanno cominciato a sostenere altri gruppi di matrice jihadista, in azione da gennaio 2016, quando è ripresa una nuova ondata di attacchi e violenze nel cuore della capitale.
Il debutto dell'Isis a Giacarta
Il primo attentato riconducibile allo Stato Islamico è datato gennaio 2016 a Giacarta, con esplosioni in serie e sparatorie nelle quali sono morti quattro civili e quattro assalitori. Questi ultimi sono stati identificati come esponenti indonesiani di Jemaah Ansharut Daulah (Jad), gruppo armato già affiliato all'Isis, sempre piu' influente nel sud-est asiatico. La propaganda viene portata avanti con l'inserimento di militanti indonesiani nei video di minaccia a governi e forze di polizia, per spingere sostenitori e simpatizzanti a compiere nuovi attacchi. A maggio 2017 almeno tre agenti di polizia hanno perso la vita nell'esplosione di un'autobomba sempre a Giacarta. Lo scorso febbraio diverse persone sono rimaste ferite in un attacco contro una chiesa a Yogyakarta, città dell'isola di Giava. A inizio maggio, cinque poliziotti sono stati uccisi in una rivolta scoppiata in un carcere di alta sicurezza dove sono detenuti militanti islamisti.
Daesh è "ormai presente in ogni provincia"
Già lo scorso anno il capo delle forze armate indonesiane, il generale Gatot Nurmantyo, ha riconosciuto che lo Stato Islamico è "ormai presente in quasi tutte le province del paese". La nuova generazione di militanti è stata per lo più indottrinata attraversato la rete, con la propaganda di siti jihadisti. Tra di loro ci sono anche ex seguaci dei vecchi movimenti radicali, pur non avendo legami stretti con le precedenti generazioni di combattenti, considerati secondo alcuni esperti "troppo timidi". In Indonesia i militanti jihadisti sono suddivisi in tanti piccoli gruppi, circa una trentina, che hanno dichiarato fedeltà allo Stato Islamico, con l'obiettivo dichiarato di istituire una provincia dell'Isis nel sud-est asiatico. Inoltre centinaia di indonesiani hanno lasciato il paese per andare a combattere in Siria e in Iraq. Militanza e formazione vengono portate avanti sia in Indonesia che nei ranghi dei combattenti indonesiani stabiliti fuori dal paese. Del resto una delle figure piu' influenti del jihadismo indonesiano, e' il leader americano Aman Abdurrahman, a capo del gruppo Jemaah Ansharut Daulah (Jad), detenuto fuori dal paese per 12 anni, processato per incitamento al terrorismo. Anche dal carcere Abdurrahman, noto come Oman Rochman, farebbe proselitismo, riscuotendo un certo successo tra i prigionieri.