È il peronista di centro-sinistra Alberto Fernandez il vincitore delle elezioni presidenziali argentine, battendo di diverse lunghezze il capo di Stato uscente, il liberale Mauricio Macri. Con l'80% dei voti scrutinati, a Fernandez viene attribuito un risultato pari al 47,45% dei voti, Macri si ferma al 41,11%.
Per vincere al primo turno è necessario il 45% dei voti, o il 40% e 10 punti di distacco rispetto al secondo candidato. Fernandez, un avvocato di 60 anni, assumerà l'incarico il 10 dicembre, dovendo affrontare la grave crisi economica in cui versa il Paese. Trattasi di un voto che è avvenuto in un clima di grande fermento e condizionato dalla grande crisi economica che attanaglia il Paese, con un'affluenza alle urne superiore all'80%, come riferito dal ministro degli Interni Rogelio Frigerio.
"E' un grande giorno per l'Argentina", si è affrettato a dichiarare Fernandez, sorridendo trionfalmente da casa sua per salutare i sostenitori dopo la chiusura dei seggi elettorali. Ma gli è chiaro che il suo compito è tutt'altro che facile: appena deposta la scheda nell'urna, il peronista ha chiesto agli argentini di "affrontare con serenità i tempi che verranno".
Dal canto suo cerca di mostrare sicurezza anche Macri: "Domani mi metterò al lavoro molto presto nella Casa Rosada, per il futuro degli argentini, qualunque scenario emerga dal voto. I 33,8 milioni di argentini erano stati chiamati alle urne per scegliere presidente e vicepresidente, ma anche un terzo dei senatori e la metà dei deputati. Sei in tutto i candidati in lizze che alle primarie dello scorso agosto hanno superato la soglia del 2%, ma il confronto per la Casa Rosada era incentrato sul duello tra il presidente uscente Mauricio Macri - candidato di Juntos per el Cambio con il suo vice Miguel Angel Pichetto - e il rivale peronista Alberto Fernandez del 'Frente de Todos', che si è presentato in ticket con una vice d'eccezione, l'ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner.
Quello su cui concordano gli analisti è che a spingere Fernandez sia stata la crisi economica, la povertà dilagante e l'aumento della criminalità. Gli ultimi sondaggi davano Fernandez ad un risultato intorno al 52% dei consensi, con Macri a 20 punto di distanza. Al terzo posto Roberto Lavagna al 6%, mentre gli altri 3 candidati non superano il 2%.
Certamente Macri paga gli effetti della crisi economica nella quale il Paese è sprofondato: Pil in calo del 3,1% e inflazione al 57,3%. Il motto del presidente era quello di "riportare l'Argentina nel mondo", ma il suo primo mandato si chiude con un netto peggioramento degli indicatori macro-economici come conseguenza, dicono i critici, delle mancate riforme, senza contare la fuga di capitali e imprenditori: il tasso di povertà è cresciuto del 35%, l'inflazione fino a settembre era quasi al 38%, mentre il peso ha perso il 70% del suo valore dal gennaio 2018 e i dati ufficiali parlano di una disoccupazione al 10%, la più alta da 12 anni a questa parte.
L'imprenditore 60enne, ex presidente del Boca Juniors (1995-2008), in politica dal 2005 e deputato per due anni, ha un programma di impostazione liberale che lo ha portato a riaprire il Paese al dialogo e alla collaborazione con l'Occidente e le organizzazioni internazionali economico-finanziarie, mentre tra i suoi risultati va annoverato l'accordo commerciale tra Mercosur e Unione europea.
Il rivale Fernandez - 60 anni, avvocato, docente in materie giuridiche, in politica da sempre - nella perfetta tradizione peronista, presenta un programma che prevede, tra l'altro, un piano ad hoc contro la povertà nonché la rinegoziazione del debito a partire dal maxi prestito di oltre 56 miliardi di dollari ottenuto dal Fmi nei mesi scorsi. Va detto che il leader del Frente de Todos non gode del favore del mondo economico e finanziario, sia interno che internazionale, che teme un ritorno a politiche di chiusura e scelte ideologiche nella politica continentale agli antipodi di quelle attuate da Macri. "
I mercati reagiranno in modo negativo", alla vittoria di Fernandez, commenta senza mezzi termini Nicolas Saldias, ricercatore presso il Wilson Center. "Non sarà brutale come in agosto, dopo il risultato delle primarie, ma la gente sta togliendo il proprio danaro dal Paese e dalle banche".