Le ultime ore registrano un rasserenamento del clima, ma la grande paura è ancora di là da passare. La mossa a sorpresa della banca centrale argentina, che alla fine della scorsa settimana ha rialzato al 40% i suoi tassi di interesse per contrastare la caduta libera del peso, sembra dia buoni frutti.
La moneta argentina che venerdì era crollata, è tornata a un livello accettabile a quota 87,2 centesimi sul dollaro. Un tasso di cambio ritenuto accettabile. Soprattutto, alcuni grandi fondi hanno ripreso a comprare sul mercato i bond con scadenza a 100 anni. Tanto da spingere il Financial Times a sostenere che il crollo della fiducia dell'Argentina sui mercati è legato a un errore di valutazione politica.
I problemi restano
La situazione, però, resta compromessa. La crisi dell’Argentina ha subito un’accelerazione nelle ultime giornate. Non basteranno alcuni indicatori tornati ad essere positivi a dissipare la preoccupazione che si era fatta palpabile la settimana scorsa, e cioè che si potesse ripetere la grande crisi dell’inizio di questo secolo.
La richiesta d'aiuto al Fondo Monetario
La seconda economia dell’America Latina è in crisi al punto da dover chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale per ottenere una “linea di sostegno finanziario”. Mauricio Macri, il presidente, ha spiegato in un messaggio alla nazione che si è trattato dell’ “unico cammino che esiste per uscire dalla nostra situazione”.
“Il contesto mondiale è cambiato a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del prezzo del petrolio, e l’Argentina resta fra i Paesi che più dipendono dal finanziamento estero”, ha sottolineato Macri, che ha parlato con la direttrice del Fmi Christine Lagarde.
Le previsioni sbagliate
Questa però è solo una parte della storia. Paradossalmente, Buenos Aires è reduce da un 2017 economicamente in ripresa, con una crescita del Pil vicina al 3%. L'introduzione di una tassazione sulle rendite finanziarie (al 5%) ha però generato una prima ondata di volatilità. Ma anche le riforme che piacerebbero ai capitali internazionali contribuiscono ad aumentare il clima di incertezza.
Macri non ha l’appoggio di una maggioranza parlamentare, e questo lo rende particolarmente debole nel momento in cui bisogna chiedere il sostegno necessario a mettere mano alle pensioni. E l’argomento è socialmente delicatissimo, perché ogni stormir di fronte a riguardo scatena i timori del ceto medio, sempre pronto a ritirare i propri risparmi dalle banche per metterli sotto il materasso.
Vecchi rancori, nuovi timori
Il ricordo del 2001 è letale, anche per questo. Il conto fu pagato, soprattutto, dal ceto medio e dai lavoratori dipendenti che tradizionalmente, in un Paese che è stato ed è ancora culla del peronismo, diffidano non tanto del liberismo quanto del Fondo Monetario Internazionale, considerato la longa manus del capitalismo internazionale. Per questo Macri, per annunciare il passo nei confronti di Lagarde, ha dovuto in qualche modo giustificarsi pubblicamente di fronte alla pubblica opinione.