Venerdì sono atterrati all’aeroporto Mehrabad di Teheran gli aerei provenienti dal Kuwait che hanno consegnato alle autorità iraniane 40 tonnellate di cibo e medicinali per le popolazioni delle zone colpite dalle alluvioni; sembra un qualcosa di normalissimo per chi non conosce il Medioriente, ma in realtà si tratta di un atto di coraggio incredibile da parte del minuscolo Kuwait e del suo emiro Ahmad al Sabah.
Nell’area del Golfo Persico, in questi anni, l’Arabia Saudita ha portato al massimo le pressioni sull’Iran, identificandolo praticamente come proprio nemico principale, invece di Israele, con la quale Riyadh ha iniziato a stabilire rapporti amichevoli.
Il Kuwait si trova tradizionalmente nella cerchia dei paesi che si trovano sotto l’influenza saudita, e quindi l’aver inviato gli aiuti all’Iran, è un atto di solidarietà e umanità molto rischioso per l’emiro Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah; basta pensare che nel 2017, il Qatar incorse nell’ira dei sauditi e venne punito con delle sanzioni ferree anche per via delle buone relazioni con Teheran. Bisogna poi aggiungere che considerando le sanzioni volute dal presidente Trump, che ha bloccato pure i conti della mezzaluna rossa iraniana, l’aiuto del Kuwait potrebbe non piacere neanche dall’altra parte dell’Atlantico.
In realtà, gli aiuti umanitari del Kuwait all’Iran, sono la risposta ad un gesto di circa 30 anni fa di Teheran. Quando Saddam invase il piccolo emirato, agli inizi degli anni ’90, le famiglie kuwaitiane che scappavano vennero accolte in Iran, e Teheran, nel periodo della crisi, inviò i suoi aiuti al padre dell’attuale emiro. Tutto ciò mentre nella guerra degli anni ’80 tra Saddam e l’Iran, il Kuwait aveva sostenuto Saddam come tutti gli altri paesi arabi. Il gesto di quegli anni dell’Iran, convinse probabilmente la famiglia reale del Kuwait a non agire mai più ai danni degli iraniani, mostratisi così magnanimi.
Il gesto dell’emiro del Kuwait è stato accolto con interesse dalla gente in Iran e sta suscitando commenti appassionati anche tra le popolazioni arabe della zona del Golfo. Dimostra che al di là delle comuni divisioni mediorientali tra persiani ed arabi, sciiti e sunniti, filo-americani e non, la speranza per un futuro con più pace nella regione esiste e che in quest’ambito, può essere importante il ruolo dei leaders politici.