Extinction Rebellion, il movimento di protesta che ha bloccato Londra per un weekend di aprile collezionando quasi mille arresti, l’adesione convinta dell’attrice Emma Thompson e di un atleta olimpico, e la simpatia di qualche decina di manager britannici che hanno firmato una lettera aperta al Times, non nasce per caso all’improvviso e rappresenta una novità assoluta nella storia dei movimenti sociali.
Si tratta infatti del primo esempio di un movimento che dichiara di usare la matematica come strumento per pianificare le proteste e per misurarne l’efficacia. I due fondatori, Gail Bradbrook e Roger Hallam, due scienziati che hanno un dottorato nel curriculum accademico, hanno trascorso gli ultimi tre anni a studiare la storia delle proteste sociali dal 1900 ad oggi, estrapolando ogni volta i fattori chiave che hanno portato al successo o al fallimento. E a partire da questa messe di dati, sostengono di aver creato “l’algoritmo delle proteste”, grazie al quale hanno costruito la strategia con cui sono andati in scena a Londra.
Gli arresti, per dire, sono stati pianificati e voluti. Un certo numero, mille, era l’obiettivo perché, dati alla mano, mille arresti di persone pacifiche costituiscono un costo sociale troppo alto per essere ignorato dalla autorità politiche. Mille era il numero da raggiungere per costringere la politica ad ascoltarli, aveva detto Hallam alla Bbc il 10 aprile: “A un certo punto il capo della polizia andrà dal primo ministro e gli dirà: non possiamo fare altri arresti, non possiamo arrestare nonne di 84 anni e bambini di 10. Serve una soluzione politica”. Obiettivo raggiunto.
L'origine dell'algoritmo delle proteste
Extinction Rebellion è insomma una cosa totalmente nuova anche se non sbaglia chi sostiene che questo movimento abbia qualche punto di contatto con alcuni esempi del recente passato, come il movimento contro la globalizzazione protagonista della drammatica Battaglia di Seattle del 1999; e di quello contro la finanza che portò nel 2011 migliaia di persone a occupare pacificamente per giorni Wall Street (in realtà il vicino Zuccotti Park).
Ma XR (questa la loro sigla) è sostanzialmente un’altra cosa, come vedremo. Ed è molto diverso anche dagli altri movimenti di protesta che in questo momento sono sulla scena sebbene anche qui ci siano punti di contatto. Come gli scioperi del clima lanciati a partire dall’agosto scorso dalla sedicenne Greta Thunberg, anche Extinction Rebellion ha come obiettivo la lotta al cambiamento climatico, ma i fondatori di XR non sono studenti, sono dei cinquantenni con alle spalle numerose esperienze di protesta sui temi più disparati. Generazionalmente quindi parliamo di due mondi diversi, sebbene Greta Thunberg lunedì 22 fosse a Londra, in occasione della Giornata mondiale della Terra, a sostenere la lotta dei militanti di XR.
Il paragone con i Gilet Gialli francesi poi non è meno fuorviante: è vero che gli attivisti di XR hanno occupato quattro punti centrali della città di Londra per diversi giorni, ma senza compiere alcun atto violento, a differenza di quel che accade ogni sabato a Parigi da molti mesi. A Londra alcuni manifestanti si sono incollati, con una colla molto potente, ad un bus per fermarlo, altri si sono incatenati a una ringhiera, altri ancora si sono stesi per terra all’ingresso del metro, i più creativi hanno inscenato performance teatrali sul clima, un funerale, in qualche caso usando vernice rosso sangue a scopo dimostrativo. Una grande barca rosa è stata messa al centro di una piazza mentre un famoso dj metteva la musica. Tutto qui. Violenza zero (ma disagi per i londinesi, non pochi, questo sì).
La non violenza come strategia
La non violenza non è un caso, ma una scelta deliberata, che i fondatori dicono di aver compiuto in base al loro “l’algoritmo della ribellione”, per cui è dimostrato che una protesta non violenta ha molte più probabilità di successo di una protesta violenta: il 53 per cento contro il 25. Più del doppio.
Extinction Rebellion entra in scena nel 2018 con alcune performance che fanno discutere parecchio ma che lì per lì non sembra possano sfociare in qualcosa di più significativo: si segnalano per esempio per il tentativo di bloccare la settimana della moda di Londra e per la sceneggiata di alcuni manifestanti che si denudano in Parlamento. Ridicoli, li bolla un commentatore. Piccoli disagi, minimizzano gli organizzatori della Fashion Week.
Sembrano improvvisazioni velleitarie. In realtà dietro quei blitz c’erano due veterani delle proteste sociali. Il più noto è Roger Hallam, agricoltore biologico per due decenni, ricercatore di buon prestigio al King’s College di Londra, oggi ha 52 anni, ma ne dimostra di più, per via dei lunghi capelli grigi chiusi in un codino, risultato forse “di 35 anni trascorsi a battersi contro le ingiustizie sociali” dice. Tra le tante “medaglie”, nel 2017 viene arrestato assieme a tre complici, per aver realizzato diversi blocchi stradali a Londra per protestare contro l’inquinamento.
Vanno avanti così, per settimane, finché non li arrestano. Un arresto cercato per farsi conoscere: dal carcere Hallam scrive una lettera aperta al sindaco, Sadiq Kahn, nella quale si racconta. Parla a sindaco per farsi conoscere da tutti: si presenta come il figlio due cristiani che per mezzo secolo hanno militato nel partito liberale, dice di avere due figli, un mutuo da pagare e di non cercare guai, “ma il guaio più grande è l’aria inquinata che ci sta uccidendo”. Se la cava con una multa di 385 sterline. E’ il test di quello che sta rifacendo oggi.
In quell’anno Hallam aveva già incontrato e stretto un sodalizio con Gail Bradbrook, oggi 47 anni, ricercatrice di biofisica molecolare all’università di Manchester, impegnata dal 2003 a gestire una piattaforma, citizens online, che avrebbe dovuto aiutare i cittadini a farsi sentire quando le cose non funzionano. Le campagne più significative sono state “fix the web” per portare Internet nelle zone rurali; e contro gli inceneritori, ma non si può dire che siano state un grande successo. Così come il tentativo di lanciare un movimento di massa per la disobbedienza fiscale: “Non è mai decollato”, dirà.
Il ruolo degli allucinogeni e il 'codice' della ribellione
Nel 2010 scopre il movimento delle Transition Town, quelle piccole città che decidono di sperimentare un diverso modello economico per ridurre l’impatto ambientale, e diventa la responsabile per Stroud, una cittadina di 12mila abitanti nel Gloucestershire, dove vive. Ma la svolta, che la porterà a co-fondare Extinction Rebellion, passa per il Costa Rica.
E’ il 2016, Gail Bradbrook racconta che si sentiva svuotata dagli insuccessi e per “rigenerare” la mente decide di provare la strada degli allucinogeni psichedelici: seguendo una strada già battuta mezzo secolo prima dalla controcultura californiana, va in America Latina “alla ricerca di un rapporto e un dialogo con la natura mediato dalle piante”, come accade nella tradizione di diverse culture indigene; e in due settimane scopre l’Iboga (un arbusto perenne con proprietà allucinogene che provoca visioni); il Kambo (una potente medicina estratta dalla rana amazzoni); e l’Ayahuasca (un the psicadelico ottenuto da una vite delle Amazzoni).
Queste cose non sono segrete: le racconta lei stessa in un lungo post autografo sul sito Emerge in cui si chiede “se le droghe psichedeliche non custodiscano le chiavi del cambiamento sociale”. “Il motivo per cui ho spinto i confini della mia mente fino a questo punto, era che volevo ritrovarmi, volevo la risposta alla domanda che mi faccio da sempre, come si ottiene un cambiamento sociale? Cosa mi è mancato finora? Cercavo la formula segreta, il codice della ribellione”.
Trascorse le due settimane, Gail torna in Inghilterra e non trova la formula segreta ma incontra Roger Hallam e nasce il progetto Rising Up, Insurrezione. Ai due basta qualche mese a capire che il terreno giusto per l’insurrezione è la battaglia per il clima. E’ Extinction Rebellion.
L’idea chiave che sta dietro tutto è che a causa del cambiamento climatico provocato dall’inquinamento, stiamo vivendo una estinzione di massa. La sesta del pianeta Terra. “Le foreste bruciano, le temperature salgono, ed è solo l’inizio” scrive Hallam nel primo post del blog ufficiale, “serve una mobilitazione simile a quella che ci fu nel Regno Unito nel 1939 per resistere al Nazismo, per ridurre a zero le nostre emissioni entro il 2025”. Discorsi in fondo già sentiti e che in questi anni non hanno scosso davvero nessuno. Quello che cambia stavolta è il metodo scientifico.
I numeri che servono per una rivoluzione
Lo studio di un secolo di movimenti protesta. E un saggio, uscito già nel 2011, sul perché la resistenza civile non violenta, funziona, ha successo. Lo firmano due giovani studiose americane, Erica Chenoweth e Maria Stephan. Numeri alla mano dimostrano che per rovesciare un dittatore non serve una rivolta di massa: basta il 3,5 per cento della popolazione.
Quel numero, 3,5 per cento, per Hallam e la Bradbrook, è un numero magico. Applicato al Regno Unito, vuol dire che gli basterà convincere due milioni e mezzo di persone. Molti di meno di quelli che votano per il partito laburista e per i verdi. Iniziano a pensare che cambiare le cose non è un sogno da rimettere nel cassetto: è possibile.
Pianificano la protesta di massa non violenta come strategia. Analizzano il passato e stabiliscono in mille il numero di arresti che vogliono ottenere quando partiranno davvero: nell’aprile 2019. Adesso. Intanto si organizzano. Usando ovviamente tutti i mezzi social disponibili, il blog, le dirette video, i podcast. Tutto, non lasciano nulla di intentato.
Non trascurano nessun dettaglio. Su YouTube c’è persino il video tutorial di un militante che in pochi minuti insegna ad usare Google Doc per fare i verbali delle riunioni. Google Doc, lo strumento di Google per scrivere testi. In effetti, non si era mai visto Google Doc usato per fare la rivoluzione.