Si chiama Alexander Emerick Jones, ha 44 anni ed è il fondatore di InfoWars, il sito, nato a marzo del 1999, diventato tra i principali punti di riferimento per i cospirazionisti americani, specie se di fede trumpiana.
Non c'entrano però le teorie del complotto se, nelle ultime ore, prima YouTube e poi Facebook hanno bloccato alcune funzioni dei suoi account. Il 24 luglio YouTube ha eliminato quattro video pubblicati sul suo canale perché contenevano elementi di “incitamento all'odio e di pericolo per i bambini”, spiega The Verge.
Secondo il sito d’informazione statunitense, in due di questi video vi erano discorsi d’odio nei confronti di persone musulmane, in un altro aspetti di discriminazione verso le persone transgender. Nell’ultimo un ragazzino, presunto autore di danneggiamenti ad alcune auto, viene colpito da un adulto e scaraventato a terra: il video si conclude con un testo che recita “Come prevenire il liberalismo”, invitando all’uso del preservativo per “aiutare l’America a rimanere sicura”.
Queste immagini, che sono ancora visibili sul profilo Twitter di InfoWars, sono state invece censurate su YouTube “per aver violato le norme della community”. Il sito di condivisione video ha anche vietato a Jones di trasmettere in diretta per i prossimi tre mesi.
Lo stop, solo a metà, di Facebook
Poche ore più tardi anche Facebook ha deciso di prendere provvedimenti bloccando l’account personale di Alex Jones. Lo riporta Mashable che spiega di aver avuto conferma da un portavoce della società. Jones “è stato bloccato per 30 giorni”: il provvedimento “verrà applicato a qualsiasi pagina gestita da Jones, oltre a quella privata dello stesso Jones.
Ciò significa che non sarà in grado di pubblicare contenuti in nessuna pagina per cui è amministratore di pagina”, anche se di fatto i suoi canali resteranno raggiungibili. Il suo profilo personale, dunque, rimarrà fermo per un mese. Le pagine pubbliche collegate a lui, la sua ufficiale e quella di InfoWars, rimangono invece attive e potranno essere aggiornate da altri amministratori di pagina. Spiega Gizmodo: “La pagina che infrange le regole riceve un avvertimento, così come l’admin che ha pubblicato il contenuto in oggetto. Dopo un certo numero di avvertimenti (Facebook non ha chiarito quanti, ndr) scatta la sospensione”.
È lecito pensare che alcuni avvertimenti siano arrivati direttamente a Jones per quanto pubblicato sul proprio profilo personale e non alle pagine pubbliche. In questo modo avrebbe superato il limite, facendo scattare il blocco di Facebook. Una fonte interna a Facebook ha confermato al Guardian che Jones aveva già ricevuto un avvertimento in passato e gli era stato fatto presente che nel caso in cui avesse nuovamente infranto le regole sarebbe stato punito con la sospensione per 30 giorni, cosa che è poi effettivamente avvenuta.
Gizmodo ha attaccato la decisione di Facebook spiegando che finisce per non accontentare nessuno, né i lettori di InfoWars e di Jones, né i suoi oppositori: “La società continua a rovinarsi la reputazione rinunciando ad adottare uno standard chiaro”.
Anche i quattro video incriminati sono spariti dal social network. La decisione arriva a pochi giorni dalle parole del fondatore Mark Zuckerberg che, in un’intervista a Recode, aveva difeso le pagine che diffondono notizie false chiarendo che, secondo lui, non è compito di Facebook mettere a tacere chi pubblica informazioni non corrette se questo non provoca danni concreti e fisici, citando espressamente il caso di InfoWars. Un portavoce della società ha dichiarato che “le regole sono chiare e proibiscono la pubblicazione di contenuti che incoraggiano danni fisici e bullismo, o attacchi a persone sulla base di religione, identità e genere”.
Tutte le bufale di Jones, dall’11 settembre a Mueller pedofilo
L’ultima bufala, in ordine di tempo, targata Alex Jones riguarda Robert Mueller, l’ex direttore dell’Fbi oggi al vertice dell’indagine Russiagate: Jones ha accusato Mueller di aver partecipato a stupri di bambini, supervisionando e “coprendo per decenni Jeffrey Epstein”, il finanziare americano condannato per abusi sessuali. “Robert Mueller è un mostro”, aveva attaccato Jones durante l’edizione del 23 luglio di The Alex Jones Show, il suo storico programma radiofonico. Nell’immediato Facebook aveva deciso di lasciar correre anche quella volta, e non aveva preso provvedimenti.
Il curriculum che raccoglie le bufale di Alex Jones è lungo. C’è quella che mette in discussione l’allunaggio, e anche il documentario 911: the Road to Tyranny di cui è regista e sceneggiatore e nel quale cerca di smontare la versione ufficiale sugli attentati dell’11 settembre 2001. InfoWars aveva anche bollato come un inganno il massacro della scuola elementare Sandy Hook, la sparatoria del 14 dicembre 2012 a Newtown in Connecticut. Quel giorno il ventenne Adam Lanza uccise 27 persone, tra cui 20 bambini di sei e sette anni, ma per Jones non ci furono morti: i corpi dei piccoli sarebbero stati quelli di giovani attori che stavano recitando. In quel caso i parenti della giovanissime vittime hanno però reagito, citando in giudizio lo stesso Jones.
Nel 2016, durante la corsa presidenziale per la Casa Bianca, il texano Alex Jones aveva espresso il proprio supporto nei confronti di Donald Trump che, dopo la vittoria, lo avrebbe contattato telefonicamente per ringraziarlo nella volata verso la Casa Bianca.