Virata su Zte. La Cina ha dichiarato di "apprezzare molto" la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di "riportare in affari, velocemente" il colosso cinese della tecnologia - oggetto di un bando ai suoi fornitori statunitensi di vendita di componenti per sette anni per le accuse di esportazioni illegali verso l'Iran - e auspica "risultati positivi e costruttivi" dai colloqui dei prossimi giorni negli Usa sulle dispute commerciali ed economiche che dividono Pechino e Washington. Lo ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Lu Kang, in riferimento a un tweet del presidente Usa che ha sbloccato la situazione.
President Xi of China, and I, are working together to give massive Chinese phone company, ZTE, a way to get back into business, fast. Too many jobs in China lost. Commerce Department has been instructed to get it done!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 13 maggio 2018
Trump su Twitter aveva anche aggiunto che "Cina e Stati Uniti stano lavorando bene sul commercio, ma i passati negoziati sono stati cosi' a senso unico a favore della Cina, e per così tanti anni, che e' difficile per loro fare un accordo che sia di beneficio a entrambi i Paesi", assicurando, poi, che "risolveremo tutto".
Leggi anche: I piani di espansione di Zte in Italia non si fermano (malgrado i guai con Trump)
La decisione di Trump arriva in un momento critico per Zte, che settimana scorsa, in un comunicato alla Borsa di Shenzhen aveva annunciato la cessazione di "importanti attività operative" del gruppo a causa del bando settennale di vendita emesso il mese scorso dal Dipartimento del Commercio di Washington: un provvedimento che ha lasciato "in stato di shock" il gruppo, come dichiarato nelle scorse settimane dal suo presidente, Yin Yimin, nel corso di una conferenza stampa.
A gioire per la marcia indietro di Trump rispetto alla linea dura delle scorse settimane sono stati gli stessi dipendenti del gruppo cinese della tecnologia, che sui social media si sono lasciati andare a commenti estremamente positivi, spiega l'agenzia Reuters.
Chi mantiene un atteggiamento guardingo rispetto alle aperture di Trump è uno dei più influenti tabloid di Pechino, il Global Times, spesso su posizioni più dure di quelle ufficiali, che in un editoriale pubblicato on line nella mattina di oggi "dà il benvenuto" alla decisione di aiutare il colosso della tecnologia, ma allo stesso tempo avverte che la mossa di Washington potrebbe avere "profonde conseguenze" sui partner stranieri degli Stati Uniti.
Leggi anche: La guerra dei dazi non sta per niente finendo
"Il caso di Zte serve come messaggio al mondo esterno e alle aziende internazionali, che ora corrono il rischio di essere punite dagli Stati Uniti per piccole dispute, senza avere la possibilità di difendersi", scrive oggi il giornale di Pechino.
Nuove ombre sul colosso cinese della tecnologia sono state gettate nelle ultime ore dal quotidiano Sydney Morning Herald. Il giornale australiano cita documenti ottenuti dal suo gruppo editoriale, Fairfax Media, che indicherebbero l'esistenza di "un dipartimento interno dedicato a pagamenti per corruzione a funzionari governativi" stranieri.
Un'accusa pesante, che oggi sembra passare in secondo piano, dopo le parole di Trump, e dopo l'annuncio della partenza nelle prossime ore per gli Stati Uniti del vice primo ministro cinese, Liu He, per partecipare al secondo round di colloqui con funzionari Usa sul commercio e sull'economia e scongiurare il pericolo di uno scontro tra la prima e la seconda economia mondiale.
Liu He, il principale consigliere economico del presidente cinese, Xi Jinping, sarà negli Usa dal 15 al 19 maggio: i colloqui del 3 e 4 maggio scorso con la delegazione Usa guidata dal segretario al Tesoro di Washington, Steve Mnuchin, non hanno dato risultati apprezzabili, evidenziando, invece, "grandi divergenze" tra Cina e Stati Uniti su diverse aree chiave, come recitava un comunicato emesso da Pechino al termine degli incontri.
Lo scoglio principale al successo dei colloqui era proprio il caso legato al gigante delle telecomunicazioni cinese, e il bando di vendita di componenti per sette anni, contro cui il Ministero del Commercio di Pechino aveva sporto, allora, protesta formale.