Apple ha confermato che i servizi iCloud in Cina verranno gestiti da un’azienda cinese a partire dal mese prossimo. Per l’azienda di Cupertino si tratta della necessità di agire in linea con le norme cinesi. Apple si era già allineata alla nuova legge sulla cybersicurezza nell’estate scorsa con l'apertura del primo data center nella provincia meridionale del Guizhou, in partnership con il gruppo locale Cloud Big Data Industry. Tra le novità della legge, c’è l’obbligo, da parte degli operatori di infrastrutture informatiche, di immagazzinare “informazioni personali e dati vitali” per il Paese “raccolti e prodotti in Cina”.
Problemi di privacy?
E così Apple ha contattato i clienti basati in Cina avvertendoli di prendere in esame, e accettare, i nuovi termini e condizioni. Ebbene, tra questi, c’è anche la clausola che stabilisce che sia Apple sia l’azienda cinese – Guizhou on the Could Big Data (GCBD) di proprietà del governo locale - avranno accesso a tutti i dati archiviati sulla nuvola. I dati verranno trasferiti a partire dal 28 febbraio. Alternative? Sì – fa sapere Apple: chi non vuole saperne può chiudere l’account. Ecco cos’altro ha detto l’azienda di Cupertino: la partnership con i cinesi consentirà di “migliorare la velocità e l’affidabilità dei nostri servizi e prodotti iCloud”. Senza innervosire le autorità - in ottemperanza con le leggi. Per chi temesse rischi per la privacy, l’azienda ha aggiunto di tutelare i dati grazie a un sistema di sicurezza interna: “Nessuna backdoor verrà installata in nessuno dei nostri sistemi”.
Cos'è il sistema di credito sociale
Ma molti temono che si tratti di misure che daranno al governo cinese strumenti maggiori per controllare i cittadini. La Cina già da tempo ha annunciato un sistema di rating che assegna un voto alle attività online dei cittadini e delle imprese. Il 14 giugno 2014 il Consiglio di Stato aveva emanato un documento chiamato “Pianificazione per la costruzione di un sistema di credito sociale”. Un sistema che valuta l’affidabilità degli utenti è stato già messo a punto dal triumvirato dell’hitech - Tencent, Alibaba e Baidu - che prevedono promozioni e sconti per chi si comporta bene: un grande fratello che premia i buoni e punisce i cattivi. L’accesso ai big data da parte delle forze dell’ordine è stato svelato da una recente inchiesta del Wall Street Journal, che ha provato la collaborazione tra i tre colossi e il governo di Pechino.
Polemiche anche in Cina
Eppure, nelle settimane scorse, non sono mancate le polemiche neanche in Cina, dopo le dichiarazioni puntute di un importante uomo d’affari, Li Shufu, a capo di Geely (proprietaria della Volvo), che a mezzo stampa ha detto di credere che il capo di Tencent, Ma Huateng, “guarda ogni giorno tutte le nostre conversazioni su Wechat”. L’azienda si era prontamente difesa negando di immagazzinare le chat degli utenti ma di limitarsi a conservare i dati relativi ai dispositivi. Proprio oggi la Cyberspace Administration ha tirato le orecchie al braccio finanziario di Alibaba, Ant Financial, dopo le proteste di alcuni utenti seguite dalla scoperta che i dati relativi alla carta di credito per i pagamenti online erano stati conservati senza avviso e condivisi con aziende terze (alla fine del 2016, il 72,5% degli utenti faceva acquisti online).
La guerra (sfiorata) tra Apple e Tencent
Apple nei mesi scorsi si era fatta sughero in tempesta dopo essere stata duramente criticata dai media di stato per la paventata intenzione di rimuovere dagli Store le app di Tencent, tra cui quella della popolare piattaforma di messaggistica Wechat: l’azienda fondata da Steve Jobs voleva assicurarsi un commissione del 30% sugli aggiornamenti delle app. Influenti organi di stampa avevano invocato il boicottaggio dei prodotti della mela morsicata, rivendicando la supremazia delle tecnologie cinesi, e spingendo gli utenti a scegliere: o noi (Tencent), o loro (Apple). Gli utenti non ebbero dubbi nello schierarsi con il colosso dell’hitech cinese.
Quando Tim Cook disse: "Seguiamo le regole ovunque facciamo business"
Apple tornò rapidamente in carreggiata. Aveva destato reazioni contrastanti il gruppo californiano quando nel luglio scorso aveva annunciato la rimozione dall’App Store cinese di circa sessanta app, rimozione che era iniziata in modo silente a gennaio colpendo l’app che consente la lettura del New York Times. “Seguiamo le regole ovunque facciamo business”, aveva detto il Ceo Tim Cook, preoccupato dal calo delle vendite. Successivamente anche Amazon aveva chiesto ai suoi clienti di interrompere l’utilizzo dei virtual private network (vpn), finiti nel mirino delle nuove direttive dal Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) di Pechino.
@aspalletta